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Una delle specialità del regista austriaco Michael Haneke è di raccontare storie che lasciano allo spettatore piena libertà di lettura. Ancora una volta l’intreccio di Niente da nascondere è disseminato di zone d’ombra e apre il campo a interpretazioni molteplici. La domanda centrale concerne l’identità della persona che, parallelamente al regista, riprende Georges Laurent, il protagonista. |
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Un tema che più volte ricorre nei suoi film è la deformazione della realtà quotidiana prodotta dai media. Non è proprio il cinema a possedere più di tutti gli altri mezzi il potere di manipolare la credulità dello spettatore? |
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La caratteristica del cinema commerciale è far finta che un film o una storia possano spiegare e descrivere il mondo intero, e che ogni problema sia risolvibile. E per questo tipo di bugia lo spettatore paga volentieri. Nel momento stesso in cui compra un biglietto, accetta automaticamente il fatto di essere ingannato. Questo genere di cinema persegue lo scopo di fargli dimenticare la propria vita per almeno due ore. Questi film hanno una funzione sociale, non artistica. |
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Lei distingue allora il cinema commerciale, che allontana lo spettatore dalla propria vita, dal cinema cosiddetto ‘serio’, artistico, che al contrario lo deve avvicinare il più possibile? |
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Se il film vuole essere un’opera d’arte, si deve occupare della realtà e delle sue tante apparenze frammentarie e deve essere impegnato a dare espressione artistica e cinematografica alle esperienze di ogni giorno, che ricordano tanti shots di un film. I tagli improvvisi che uso nei miei film, e che eludono ogni tipo di spiegazione, sono un tentativo di dar forma a questa vicinanza con la vita. |
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I suoi film tendono a stabilire un rapporto più intimo possibile con gli spettatori. Le lunghe sequenze che lei usa, note per la loro intensità e violenza psicologica, sono un ulteriore tentativo di evocare un senso della realtà vissuta sulla propria pelle? |
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Le lunghe sequenze, che uso preferibilmente in quasi tutti i miei film, hanno la funzione di sostenere la fluidità della storia e servono anzitutto per dare agli attori la possibilità di sviluppare se stessi nel proprio ruolo. Ma gli attori devono seguire fedelmente le indicazioni del testo e rinunciare a ogni improvvisazione arbitraria. Devono essere professionali, ed è questo uno dei motivi per cui preferisco gli attori di teatro, che sono abituati a un lavoro lungo e ininterrotto sul testo. |
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Quindi il tema della verità dell’immagine sembra essere anch’esso il centro della sua ricerca estetica… |
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Ho affermato più volte che per me un lungometraggio produce menzogne a ventiquattro fotogrammi al secondo. Talvolta sono menzogne a servizio di una verità, ma non sempre. Penso che l’uso del video, in Niente da nascondere, destabilizzi la fiducia dello spettatore nei confronti di quello che vede. |
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A guardare il film si ha la sensazione che l’oblio abbia creato dei mostri in Europa? |
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L’oblio esiste in ogni paese. Le conseguenze politiche per una società sono sicuramente diverse a seconda della nazione. Non importa quale sia il paese ma c’è sempre qualcosa che si vuole tenere nascosto, di cui non si vuole parlare. Trovo tutto ciò pericoloso e questa tendenza generale mi incita a reagire. |
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Possiamo parlare di un finale ‘sospeso’? |
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E’ un film personale sul senso di colpa, su come si gestiscono, o non si gestiscono, i propri sensi di colpa. Sta allo spettatore decidere il modo in cui chiudere o interpretare il film. Non sono un maestro di scuola, non ho alcun insegnamento da trasmettere, Quello che posso fare è porre delle domande, in un modo più o meno interessante. |
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