Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Ruoli e mestieri nel cinema Calciatori

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a cura di Glauco Almonte
A fine maggio esce in Italia un film d’animazione che merita di non essere ignorato: “Goool!”, nonostante il titolo stupido (per una volta non è colpa della distribuzione, ma si tratta dell’originale), racconta in 3 dimensioni una storia che ruota intorno al calcio e vede come antagonista un bullo, di professione calciatore ricco e famoso. Non il classico film d’animazione, visto che è firmato da Juan José Campanella, Premio Oscar quattro anni fa con “Il segreto dei suoi occhi”: il primo ‘cartone’ su calcio e calciatori arriva oltre un secolo dopo il primo film in assoluto ad avere un calciatore protagonista, 11 minuti (sic) oggi introvabili di “Harry the footballer”, storia a lieto fine di un calciatore rapito prima di una partita importante e liberato in tempo per segnare e vincere. Dal gol della vittoria all’ultimo minuto si potrebbe partire per un’ampia carrellata sui film che ruotano attorno a partite decisive (“Fuga per la vittoria”), a personaggi carismatici (l’allenatore Banfi, il presidente Sordi, gli arbitri Buzzanca e Accorsi) o più in generale al mondo del calcio e del tifo (“Ultrà”, “Febbre a 90°”), ma quel che ci interessa in questa puntata della rubrica dedicata ai ruoli e mestieri nel cinema è la figura del calciatore.
Istintivamente, escludendo i documentari, il genere che più si avvicina è il film biografico che, in due soli esemplari, detta la linea della figura-calciatore che ritroveremo nei film di finzione: “Best” e “Maradona, la mano de Dios” raccontano la vita dentro e – soprattutto – fuori dal campo dei due calciatori più interessanti e ‘maledetti’ che il calcio moderno abbia offerto, due numeri uno sul prato verde, due persone incapaci di trovare equilibrio in una vita fatta di eccessi (celeberrima la frase di Best sui soldi spesi per donne, alcool e automobili). Quello del calciatore, di per sé, non è un mestiere che si adatta al racconto cinematografico, con le aggravanti di riprese difficili (rendere credibile il gioco) e costose (scenografia e comparse): lo diventa se il protagonista acquista spessore per altri motivi, dal Raf Vallone incorruttibile ne “Gli eroi della domenica” al portiere mapuche che ipnotizza gli avversari ne “Il mundial dimenticato” (falso documentario tratto da un racconto di Osvaldo Soriano), così come sono stati Maradona e Best, o il più recente candidato al biopic David Beckham.
La carriera del calciatore protagonista può essere ripercorsa interamente (è il caso della saga “Goal!”, in cui il giovane Santiago è un aspirante professionista nel primo film, calciatore affermato nel secondo, star internazionale nel terzo), ma è più facile prenderla in un momento specifico, solitamente l’inizio o la fine: l’inizio nelle commedie di formazione, la fine nei film più drammatici, in cui il peso del passato grava ancora sul presente del protagonista. C’è un piccolo film italiano, “Piede di Dio”, che racchiude entrambi i momenti: Emilio Solfrizzi ha concluso anzitempo per colpa di un incidente, Filippo Pucillo ha le qualità per sfondare ma non il cervello. Da un momento prossimo al finale di carriera parte un film completamente diverso, “Mezzo destro mezzo sinistro”, che – sulla scia del successo dei film con Lino Banfi e Alvaro Vitali – porta allo stadio per la terza volta in altrettanti anni la commedia più o meno demenziale tanto in voga negli anni ’80: il Margheritoni di Andrea Roncato non può però scrollarsi di dosso la malinconia di un giocatore a fine carriera, che gioca poco e che avrà soltanto il tempo per un’ultima rivincita.
L’atmosfera malinconica sale a livelli esponenziali con “L’uomo in più”, film d’esordio di Paolo Sorrentino: Antonio Pisapia fa l’ormai classica caduta dalle stelle alle stalle per colpa del solito infortunio (non è scarsa fantasia nel soggetto, è purtroppo un dato di fatto estremamente reale), e nonostante i tentativi di ricominciare non riesce a voltare pagina. Nel film di Sorrentino è presente un altro elemento che ha caratterizzato altri film su calciatori in passato, il tema del doppio: la vita di Antonio Pisapia è simile, nelle dinamiche, a quella del cantante Tony Pisapia. E’ però la prima volta che viene usato in maniera drammatica, come parallelo tra due diversi protagonisti (un esempio più celebre è “La doppia vita di Veronica” di Kieslowski): nelle commedie su calcio e calciatori il doppio era sempre stato uno stratagemma per sostituire un calciatore con un non-calciatore, da Walter Chiari che interpreta due gemelli ne “L’inafferrabile 12” ad Alvaro Vitali nel ruolo del brasiliano “Paulo Roberto Cotechiño” e del suo sosia.
Ma oltre a tutte queste caratteristiche comuni dei film su calciatori, che ci permettono di suddividerli in piccoli gruppi, c’è un solo vero filone cinematografico, del quale l’essere calciatore è peculiarità irrinunciabile: quello sul calcio femminile. Filone recente, nato nel 2002 con la commedia britannico-americana “Sognando Beckham”, si compone di commedie americane sostanzialmente simili tra loro: non a caso negli Stati Uniti il calcio femminile è più seguito di quello maschile (che fino ai Mondiali del ’94 era di livello dilettantistico, tanto che la maggior parte dei convocati in quella nazionale non erano tesserati in alcuna squadra di club), con risultati bel diversi (vinti 2 Mondiali e 4 Olimpiadi negli ultimi 20 anni). Le orme delle diciottenni Jess e Jules (Keira Knightley non è la protagonista ma è la spalla), alle prese con i primi turbamenti d’amore e i primi problemi di conciliazione tra il calcio e lo studio, sono ripercorse da altre due liceali in “Soccer girl” (inedito da noi) e ne “Il mio sogno più grande”, con le stesse dinamiche talento / avversione genitori / crisi / impegno / successo. C’è anche un richiamo nel film a episodi prodotto da Paolo Virzì4-4-2”, con Francesca Inaudi indisciplinata in campo e fuori. Il primo film, con tutte le sue pecche, resta ineguagliato per la genuinità e per l’operazione di marketing nello scegliere un vero calciatore – David Beckham – quale figura ispiratrice delle due protagoniste; chiudiamo così il giro con un altro calciatore – ispiratore, stavolta non in campo strettamente sportivo ma nella vita in generale: Eric Cantona, altra figura il cui carisma ha oltrepassato i confini del rettangolo verde, è addirittura attore nella commedia di Ken LoachIl mio amico Eric”, nella quale interpreta se stesso, a fine carriera, prodigo di consigli di vita verso il suo tifoso Eric, che in un momento di crisi si è rivolto al poster del suo idolo come ad un santo.