Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Venezia 2006 06/09: "Inland Empire": il diavolo veste Lynch

Invia questa pagina via e-mail a chi vuoi tu Stampa questa pagina
a cura di Andrea Olivieri
Sessant'anni, compiuti da pochi mesi, ventisei film tra cinema e televisione nella lunga carriera. Per David Lynch i film sono come puzzle "esistono prima che io li giri, io ho la sensazione di avere un pezzo di questo puzzle in mano e di dover soltanto trovare gli altri". Lunga standing ovation ieri sera al Palazzo del cinema per il Leone d'oro alla carriera a David Lynch.
"Mi sembra soltanto ieri che avevo 19 anni e oggi prendo un premio alla carriera. In un festival come quello di Venezia che celebra il cinema, non può che essere un onore ricevere il Leone d'Oro, un riconoscimento che in passato è andato a personaggi di grande levatura. E poi vincere dei premi mi dà sempre grande energia". Con l'occasione è stato presentato in anteprima Fuori concorso l'atteso "Inland Empire".
Accompagnato dai protagonisti del film, Laura Dern (Velluto blu) e Justin Theroux (Mulholland Drive), il regista ha definito "Inland Empire" "la mia dolce vita". Tanti imperi interiori, tanti mondi. Il suo "Inland Empire" infatti si presenta come un gioco di scatole cinesi, un sogno o meglio un incubo in cui tante realtà diverse si mescolano. Protagonista, ancora una volta, Laura Dern. E' una donna innamorata e in pericolo, un'attrice che ha appena ottenuto una parte da protagonista in un film diretto da un regista interpretato da Jeremy Irons. Il film però sembra maledetto, doveva essere già girato in passato ma i protagonisti erano stati uccisi, il marito della protagonista è geloso del suo compagno di set.
"Questa è la storia di una donna che ha alcune cose di cui preoccuparsi" - spiega Lynch - "Ma Inland Empire - continua - è anche l'enorme mondo interiore che si agita dentro ognuno di noi. Mi piace il mistero e mi piace l'idea di entrare in un universo senza sapere quello che troverò. Ogni film dovrebbe far vivere un'esperienza simile". A chi gli chiede di spiegare il suo film risponde: "Il cinema è un linguaggio e parla come le parole non potranno mai fare. Non posso spiegare razionalmente i miei film, voglio che siano gli spettatori a trovare le proprie conclusioni. Bisogna lasciarsi andare al cinema, fidarsi del proprio intuito, il che vuol dire far camminare sulla stessa strada intelletto ed emozioni, farle interagire. Purtroppo ci fidiamo troppo poco delle nostre intuizioni, eppure sappiamo molto più di quanto ci permettiamo di dire".
Strappa sonore risate "Il Diavolo veste Prada" alla prima proiezione alla Mostra, riservata a stampa e industria. Solo "The Queen" - in corsa per il Leone, mentre la commedia di Davide Frankel è Fuori concorso - aveva divertito tanto. Il film, protagoniste due star del calibro di Meryl Streep e Anne Hathaway, è tratto da un best seller che è stato in testa alle classifiche dei più venduti. "Cantava Marylin che ’i diamanti sono i migliori amici delle ragazze’. Oggi invece lo sono le scarpe e il cinico mondo della moda" - spiega Meryl Streep in forma smagliante nei panni, griffatissimi, di Miranda Priestly, invincibile, inossidabile, inarrivabile direttrice di 'Runaway', bibbia del fashion system. E Vanity lo colloca al secondo posto nella corsa agli Oscar.
Tre nuovi film arricchiscono la sezione del Concorso Ufficiale.
Applausi e soddisfazione hanno accolto il film del regista Johnnie To, uno dei maestri della produzione di Hong Kong. Il suo gangster movie "Fangzhu" (titolo inglese "Exiled") col sorriso sulle labbra, ha strappato più di qualche assenso. Dalla Russia l'esordio alla regia di Ivan Vyrypayev, giovane commediografo e scrittore osannato e pluripremiato in patria. Stiamo parlando di "Ejforija". Partendo da una sceneggiatura essenziale (nella steppa russa un uomo e una donna s'innamorano e decidono di fuggire) Vyrypayev gira un film che punta tutto su una messa scena metafisica e molto pittorica, fatta di grandi spazi, suggestive riprese dal cielo, personaggi e dialoghi ridotti all'osso.
Un'intera regione allagata e millenni di storia cancellati dai miliardi di metri cubi d'acqua del fiume Yangtze, per la Diga delle tre Gole. In "Still life", film a sorpresa che si è andato ad aggiungere ai 21 In concorso alla Mostra, Jia Zhang-Ke racconta la storia della diga cinese e lo smarrimento emotivo di chi, vivendo lì, è stato costretto a cambiare la propria vita. Il regista, dopo il documentario di 2 anni fa, torna sulla vicenda per raccontarne il paesaggio umano.