Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Ingmar Bergman Biografia di Ingmar Bergman

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Ingmar Bergamn nasce a Uppsala nel 1918.
Inizia la carriera come autore e regista teatrale, e nel 1944 scrive la sua prima sceneggiatura, “Spasimo”, con cui entra nel mondo del cinema.
Un anno dopo realizza il primo film come regista, “Crisi”, che come i successivi “Nave per l'India” (1947) e “Musica nelle tenebre” (1947), affronta tematiche sociali del mondo giovanile, facendo denunce con toni aggressivi. Il modello di riferimento di Bergman, in questa fase, è il realismo, da cui si distacca già nel 1948, con “Prigione”, allorchè inizia a sperimentare tecniche surrealiste ed espressioniste, che utilizza per approfondire i comportamenti e la psicologia umana.
Su questa strada si incontrano opere come “Un'estate d'amore” (1950), “Donne in attesa” (1952), “Monica e il desiderio” (1952), “Una lezione d'amore” (1954), nelle quali si afferma uno studio attento della psicologia femminile, soprattutto, ma non solo, all'interno del rapporto sentimentale.
La donna, infatti, attraverso le interpretazioni di attrici come Ingrid Thulin, Liv Ullman, Harriet e Bibi Andersson, Gunnel Lindblom, Ingrid Bergman, diventa l'immagine della natura umana, vittima di tensioni e di aridità esistenziali, spesso rappresentate attraverso il rapporto con la maternità, la sua ricerca e il suo rifiuto.
Il film che impone Bergman all'attenzione della critica internazionale è “Sorrisi di una notte d'estate” (1955), commedia sui rapporti sentimentali, che si serve dei modelli del teatro brillante del Settecento francese per osservare con amarezza l'instabilità dei sentimenti e la complessità dei rapporti umani.
E' dell'anno successivo uno dei capolavori bergmaniani, “Il settimo sigillo” (1956), geniale affresco medievale, nel quale l'autore riflette su vita e morte, sul rapporto fra uomo e Dio, sul senso della propria esistenza, sulla miseria e la nobiltà della natura umana.
Gli stessi temi esistenziali, affrontati alla luce della psicanalisi, sono presenti anche nel successivo “Il posto delle fragole” (1957), una tragedia filosofica, densa di riferimenti culturali che vanno da Joyce a Proust, da Mann a Kierkegaard, per dimostrare come la morte si nasconda dietro le fugaci apparenze della vita.
Il problema del “vuoto” che si sostituisce alla perdita della fede, la ricerca di una religiosità intima e non formalistica, l'incomunicabilità fra individui, sono al centro delle sue opere successive, fra cui si segnalano “La fontana della vergine” (1959), “Come in uno specchio” (1961) e “Il silenzio” (1963).
É anche in questa fase che Bergman comincia ad essere considerato autore difficile, intellettuale ad oltranza, cupo e destinato a pochi, immagine che sicuramente non smentisce nelle pellicole che gira in seguito, “Persona” (1966), “Il Rito” (1969), “Passion” (1970), trattati sulla morte, la crudeltà umana, il disfacimento della società e la solitudine, sempre più cupi ed angoscianti. Si tratta comunque di opere profonde ed acute, nelle quali il regista si conferma uno dei massimi interpreti dell'animo tormentato dell'uomo contemporaneo.
Sussurri e grida” (1973), “Scene da un matrimonio” (1974, destinato alla televisione) e “Immagine allo specchio” (1976), sono forse le opere in cui Bergman conduce alle estreme conseguenze la propria filosofia artistica. Eliminata la presenza di una divinità, il male di vivere bergmaniano diventa un percorso interiore che distrugge ogni sicurezza su cui si appoggia l'esistenza comune.
L'ultimo capolavoro film di Bergman, “Fanny e Alexander” (1983), che segue due pellicole dagli intenti psicanalitici (“Sinfonia d'autunno”, 1978 e “Un mondo di marionette”, 1980), è uno splendido racconto nel quale il regista sviluppa, con una partecipazione mai invadente, i motivi e le emozioni da cui è partito per comporre le sue opere.
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