Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

David Lynch The dark side of the man

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a cura di Riccardo Rizzo
E’ uno dei registi più amati e odiati dalla critica e dal pubblico, David Lynch.
Un pregio, visto il triste, grigio e piatto panorama cinematografico americano di oggi. Vivere un suo film significa entrare in un cine-mondo a più dimensioni, slegato completamente da schemi e logiche convenzionali, non per questo immutabili e perfette, ed addentrarsi in un gioco di realtà auto-riflettenti. Ciò che accomuna le sue opere è la subordinazione sistematica della dimostrazione alla percezione: non si tratta di spiegare gesti, azioni, personaggi, ma di capirli. Lo stress interpretativo dello spettatore è condizione sine qua non per apprezzare ogni suo film, e spesso scoglio insormontabile per i detrattori del suo cinema anticonformista e anarchico. Il disagio nel non afferrare il significato delle storie raccontate è spesso accentuato dello sconvolgimento sensoriale che si patisce ogniqualvolta ci si trova di fronte a scene enigmatiche, visivamente ipnotiche e musicalmente incantatrici. Le trame diaboliche cui ha abituato il pubblico poi, sono quasi sempre libere da consequenzialità, e permeate da un’angoscia e un surrealismo che completano la sensazione di disturbo mentale che i suoi film incutono. Il segreto va ricercato nell’abbandono totale della dicotomia tra sogno e realtà, perché perfettamente speculari: in questo continuo gioco di rimandi è l’inconscio a svolgere il ruolo principale, ad essere veicolo del messaggio; nell’inconscio si legittima il cinema di Lynch, fatto di contenuti in forma simbolica che si esplicano in dimensioni spesso irrazionali e istintive. Ed è sempre nell’inconscio che trovano spazio le angosce (verso il futuro), e i sensi di colpa (verso il passato) dei protagonisti, che sembrano vivere in un mondo senza regole, dal sapore dionisiaco e a volte perverso. Che siano i protagonisti di Strade perdute o Mulholland Drive, della storica serie tv Twin Peaks o dei suoi primi cortometraggi, tutti hanno un segreto, qualcosa di eccezionale (da intendersi come fuori dalla norma, dalla convenzionalità superficiale che rende tutti gli essere privi di interesse) e tutti si trovano a lottare contro loro stessi, contro ciò che sono veramente, contro la loro identità nascosta. Per questo i film di Lynch sono da intendersi come viaggi, spesso senza ritorno, nei meandri della parte più oscura di personaggi misteriosi e affascinanti. Viaggi, figurati e non, che sono un altro punto fermo nella poetica cinematografica lynchiana, metafore lampanti del cammino che porta alla conoscenza, più o meno cosciente. Spesso non ha importanza quando abbia avuto inizio, o quando finirà, il viaggio è motore degli eventi o evento stesso (Una storia vera ne è l’esempio), che quando unito alla costante componente onirica e visionaria, fa del cinema di Lynch qualcosa di assolutamente unico ed inimitabile.
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