Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Ethan Hawke Il brivido del presente: azione e memoria

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a cura di Glauco Almonte
Un quattordicenne americano che muove i suoi primi passi davanti a una macchina da presa è la prima tappa nella crescita artistica di Ethan Hawke; quella come individuo è iniziata a soli tre anni con la separazione dei genitori.
Il piccolo protagonista di “Explorers” non è ancora un attore; gli manca un passaggio, fondamentale: quello dal gioco alla presa di coscienza, all’interiorizzazione del proprio ruolo. Ha diciotto anni quando è scelto, quasi per scommessa, da Peter Weir: milioni di adolescenti lo ricordano in piedi su un banco di scuola, Ethan ricorda invece la sensazione, provata per la prima volta nella sua vita, di fare parte di un progetto, acquista fiducia nelle proprie capacità. Non la perderà, se in meno di dieci anni riuscirà ad essere attore, regista, sceneggiatore e scrittore.
L’attimo fuggente” lo lancia stabilmente nel mondo del cinema, con gli occhi di tutti puntati addosso: la sua personalità, che si formi o meno in questo momento non ha importanza, viene fuori con le sue scelte, orientate verso il cinema indipendente, verso il rapporto con le persone, in particolare con Andrew Niccol e Richard Linklater (che dopo averlo diretto più volte fa la comparsa ne “L’amore giovane”).
In questo momento, Ethan Hawke si lascia alle spalle l’adolescenza, salvo tornarvi sopra costantemente nel suo lavoro.
Quasi volesse fissare una volta per tutte il suo passato, per poterlo finalmente guardare senza più sentirsi in dovere di modificarlo, intorno ai venticinque anni scrive il suo primo romanzo; “The Hottest State” parla di un ragazzo dal suo stesso passato, che all’alba della maturità si interroga sul proprio presente, sugli scalini che nella vita si devono salire e su quanto siano relativi il dolore, i sentimenti che il corpo prima e la memoria poi pesano in due modi diametralmente opposti. Ethan scrittore ha la coscienza della memoria, non più l’incertezza dell’istante in cui li ha provati: proprio per questo ne riconosce la grandiosità, il momento sublime in cui si consuma l’atto – e il suo è quello di recitare, passato e presente sono la faccia per nulla nascosta rispettivamente di cinema e teatro. «Il teatro è nel momento, non nel passato. Terrore ed esaltazione sono come una magia che crea legami in quel momento. Superare la paura sul palcoscenico è una costante, la paura ti lascia nudo, non ci sono menzogne». L’attore ha trovato la sua verità, essere nudo per provare di fronte al pubblico la paura dell’istante che sta per carpire. “L’attimo fuggente” ha lasciato qualcos’altro, oltre alla fiducia in se stesso.
Anche lo scrittore sta trovando la sua verità: è il ragazzo protagonista, senza però averne più il punto di vista. Non potendo più identificarsi con se stesso nel passato, Ethan riesce anche in questo campo a trovare il presente ed ha la forza di accettare, in parte di esorcizzare, il suo ruolo di padre, la stessa figura che ha fatto pesare la sua assenza nella crescita del personaggio autobiografico William. Il gesto col quale da regista si assegna la parte del padre ne “L’amore giovane” (“The Hottest State”, nient’altro che la trasposizione cinematografica, da Hawke stesso sceneggiata, del suo libro) è emblematico: William intravede lo scalino che sta per salire e decide di affrontarlo. Ha ventun’anni, e sta diventando uomo. Ethan ne ha trentasei, e lo è già diventato (oltre che attore, scrittore, sceneggiatore. A giudicare dai primi passi, anche il regista sarà presto formato).
A Roma, intervistato all’Auditorium prima dell’uscita del suo film, Ethan Hawke giustifica la sua straordinaria poliedricità citando una battuta di Jack Nicholson quando in “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, dopo un tentativo inutile di sfondare il muro del manicomio, ripete: «almeno io ci ho provato». Bellissima, ma il percorso più recente di Hawke tutto sembra fuorché un tentativo o una serie di tentativi: c’è una persona con le idee chiare che fa le sue scelte e, guardandosi indietro per vederne gli effetti, scopre di avere talento e di essere riuscito ancora una volta ad indirizzarlo bene; quindi si volta di nuovo e continua ad andare avanti.
Prima della fine dell’intervista, la frase giusta gli scappa, e non usa le parole di un altro attore, ma le stesse che ha già pronunciato dieci anni fa in “Gattaca” (non a caso sceneggiato, prima che girato, da Andrew Niccol): «non mi risparmio nulla per il tragitto di ritorno».