Sulla Croisette impazza il toto-palma.
Come sempre, a pochi giorni dalla chiusura di un Festival si sente il bisogno di sostituirsi alla giuria e stilare una graduatoria dei film in concorso già presentati: le voci sono così numerose da rendere quest’operazione esageratamente fine a se stessa, sovrapponendo ai più quotati “No country for old men” e “Paranoid Park” il già dimenticato “Zodiac” (essendo uscito in sala venerdì scorso, la critica italiana si limita a considerarlo concorrente dei “Pirati dei Caraibi” al botteghino) e i film oscurati dai rumori provocati dalle altre star lì di passaggio, quali “Izgnanie” (The Banishment) del Leone d’oro 2003 Andrej Zvyagintsev e “Le scaphandre et le papillon” di Julian Schnabel. Le classifiche di gradimento si rincorrono e si smentiscono l’un l’altra nel giro di pochi minuti, il Festival sembra accendersi intorno a uno schermo buio: è l’ottavo giorno, il giorno dei giornalisti, che dimostrano di averne fin sopra i capelli e di non veder l’ora che si spengano i riflettori (ma soprattutto i proiettori). Probabilmente sono tutti atterriti dopo aver letto nel programma che li attende il film di Sokurov (“Alexandra”) alle 8.30 del mattino: i più ottimisti sono già con la testa a sabato, il giorno di Kusturica (“Promise me this”), i pessimisti pensano bene di manomettere la sveglia, a Sokurov penserà qualcun altro.
Ma se da un lato i giornalisti si fermano a rileggere i propri articoli e ad invidiare quelli altrui, dall’altro lato, quello che conta, Cannes 2007 continua il suo percorso: dal cilindro di una selezione ufficiale mai così ricca è uscito Fatih Akin. Il regista turco-amburghese, dopo l’esperienza allucinante di “Crossing the bridge – The sound of Istanbul”, ritorna sui passi del più fortunato “La sposa turca”, Orso d’oro al Festival di Berlino di tre anni addietro, con “The Edge of Heaven”. Torna a muoversi tra i suoi due paesi, Germania e Turchia ospitano i sei personaggi in cerca d’integrazione: Ali e Nejat, padre e figlio; Yeter, la prostituta compagna di Ali, da lui uccisa per errore; ancora una figlia, Ayten; Lotte, la sua compagna; sua madre Susanne, per chiudere il cerchio di queste tre famiglie, di queste coppie che s’intrecciano in fuga da ciò che hanno, alla ricerca di qualcosa che non conoscono.
“Sarebbe bello che ogni confine tra i paesi, ma soprattutto i confini tra le persone, fossero abbattuti. Le barriere, così penso, sono state create per essere superate”. Aggiunge il regista: “Le ideologie, se divengono intolleranti come le religioni, non portano lontano”.
Il futuro dell’Europa nei 122 minuti che Akin regala al pubblico e ai giurati di Cannes: se sapranno farne tesoro, lo scopriremo l’ultima sera di questo Festival, che invece di volgere al tramonto insiste e si rilancia addirittura con una novità, una sorpresa notevole annunciata in giornata. Sabato, in anteprima mondiale, sarà proiettato fuori concorso il documentario “Ribellione, il caso Livtinenko”, girato da Andrej Nekrasov, amico dell’agente del Kgb fatto avvelenare da Putin (sarà questa la tesi del film?), e da Olga Konskaya. Un colpo di scena degno d’un film più che di un festival, un inserimento sorpresa nel programma ufficiale che sembra destinato a diventare una moda: nove mesi fa “Still life”, annunciato in concorso ben oltre la metà del Festival di Venezia, si aggiudicava il Leone d’oro.
In attesa dei fuochi d’artificio di sabato, dunque, ci apprestiamo alla nona giornata di questo festival: in concorso il già citato “Alexandra” di Sokurov e “Secret Sunshine” di Lee Chang-dong (il coreano autore di “Oasis”). Fuori concorso? Steven Soderbergh. Soderbergh? Sì, alle 11.00 scatta l’ora di “Ocean’s thirteen”. Forse è il caso di richiamare i giornalisti: la Palma di carta può aspettare, the show goes on. |
