Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Quentin Tarantino Lo sceneggiatore di se stesso

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a cura di Glauco Almonte
Capitolo 1: E io voglio i miei scalpi!
Ignorato dalla giuria del 62° Festival di Cannes, kermesse alla quale Tarantino resta comunque affezionato, “Bastardi senza gloria” consegna al suo autore i propri scalpi sotto forma di biglietti staccati man mano che esce nelle sale di tutto il mondo: e gli scalpi della pellicola sono ben più dei 100 richiesti dal luogotenente Aldo Raine – Brad Pitt. Il successo dei suoi bastardi è per Tarantino una rivincita a due anni esatti dalla sua ultima partecipazione a Cannes, mettendo in un cassetto le sue idee più innovative e riproponendo il Tarantino più amato, quello non meno ironico che pulp. In attesa di un nuovo tentativo su sentieri meno battuti, Quentin raccoglie i suoi scalpi con la solita, inossidabile strategia: noi al cinema ci divertiamo, lui probabilmente sfoga la sua frustrazione per esser costretto a rimanere con i piedi per terra costruendo scene memorabili, così vive e forti da non richiedere alcun legame tra loro, sforzo che si guarda bene dal fare riproponendo gli ormai tarantiniani capitoli.
Ti sembra una festa questa?!
Bastardi senza gloria” arriva dopo la delusione di “A prova di morte”, il film di Tarantino concepito, insieme a “Planet Terror” di Robert Rodriguez, come un’opera di due episodi dal titolo “Grindhouse”. In America l’accoglienza è stata tiepida, tanto da scatenare il rancore del regista di Knoxville: “è un mio piacere perverso privare gli americani delle immagini più eccitanti del film”, ha dichiarato qualche giorno fa in riferimento alla scena della lap-dance ballata da Rosario Dawson, tagliata nella versione americana. Se in patria il film doppio non ha avuto successo, Tarantino e la sua casa di produzione “A band apart” hanno pensato a una diversa strategia per il mercato europeo: “A prova di morte” è stato presentato al Festival di Cannes, slegato dal film di Rodriguez (annunciato per il Festival di Venezia a Settembre).
Forse qualcuno contrario al matrimonio non è riuscito a tacere per sempre!
L’accoglienza per Quentin sulla croisette è stata splendida: i suoi fan hanno fatto a gara con quelli di Clooney, vincendola. Un bagno di folla ne ha sancito il ruolo quasi di profeta, portatore di un cinema diverso: diverso tanto dal cinema al quale siamo abituati, quanto dal suo stesso cinema degli esordi.
La critica non si era ancora espressa che Quentin poteva giustamente crogiolarsi nel suo successo; quando la critica ha aperto bocca, ormai era tardi, le agenzie avevano già lanciato a caratteri cubitali la sua apoteosi.
Di fronte ai suoi acclamatori, salta agli occhi l’atteggiamento diverso, pur nel consenso generale, tra i suoi fan della prima ora e gli amanti del nuovo corso, rappresentato dalla triade Tarantino-Rodriguez-Roth.
La coca è bella che morta da un pezzo. L'eroina sta rimontando in un modo pazzesco
I consumatori di coca rimangono grati al loro spacciatore: fuor di metafora, chi ha amato “Le Iene”, la sua circolarità e insieme il suo humour, chi si è entusiasmato per “Pulp Fiction” nello scoprire l’incrociarsi delle strade del grottesco e di una costruzione in perpetuo movimento, non gira le spalle al Tarantino odierno (al massimo le gira a quello di “Four Rooms”).
Kill Bill” (volumi 1 e 2, pensati come un tutt’uno) rappresenta il segnale di una trasformazione già avvenuta: il pulp sta degenerando in splatter, l’ironia diventa autoreferenziale e collassa, lasciando il campo agli schizzi di sangue – quando non di budella – sul vetro della macchina da presa. Se non è horror, è comunque un genere nuovo, figlio del suo primo colpo di genio e, probabilmente, dell’assenza di sceneggiature da trasformare in capolavori (ricordiamo che con “Pulp Fiction” ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura, che di questo passo rimarrà, in questo settore, l’unico della sua carriera).
I fan sono aumentati, la droga è diversa, meno raffinata: i consumatori sono di più.
I giorni in cui dimentico sono finiti, stanno per cominciare i giorni in cui ricordo
Il successo consente a Tarantino un’operazione retrospettiva: il recupero di ciò che non era riuscito a realizzare. Il ’94 è l’anno di “Una vita al massimo”, un film di Tony Scott su sceneggiatura di Tarantino (soggetto è “True Romance”, un suo script di sette anni prima) e soprattutto di “Natural Born Killers”, soggetto tarantiniano di qualche anno dopo per la regia di Oliver Stone (e l’interpretazione di Juliette Lewis che ritroverà la coppia Rodriguez-Tarantino due anni dopo in “Dal tramonto all’alba”). Esaurito il suo repertorio, Tarantino deve pensare che il cerchio sia chiuso e decide di guardare avanti.
Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida... Cosa che tanto non otterrai
Conclusa questa prima fase, Tarantino, che probabilmente sente di non aver niente da dire, decide di rallentare. Tra “Jackie Brown” e “Kill Bill vol.1” passano sei anni, nei quali il personaggio-Quentin è attivo più che mai, ma il regista tace. E’ in questo periodo che va assumendo una fisionomia ben precisa, diventando a tutti gli effetti una star. A lavorare è Robert Rodriguez, spesso sponsorizzato dall’amico che sta ricaricando le pile.
Gli psicopatici non esplodono alla luce del sole
Fuori dallo schermo, Tarantino riesce a comunicare due aspetti della sua personalità: quello di autore cinematografico che è partito da profano (“non ho mai frequentato corsi di cinematografia”) ma che non vuole perdere occasione di dimostrare il suo amore per questa forma d’arte – a Venezia curerà la retrospettiva dedicata agli ‘spaghetti-western’, 40 film da “Per un pugno di dollari” a meno noti prodotti ‘di serie b’; e quello tendente allo psicopatico, ruolo che interpreta a intermittenza di fronte a fan e stampa, con puntualità invece nelle sue performance da attore (“Dal tramonto all’alba”, “Mister Destiny”, “Planet Terror”). Potenza di una faccia che riabiliterebbe Lombroso e una schiettezza che spesso sfocia nella provocazione.
Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate, per sentirci più a nostro agio?
La conferenze stampa di Tarantino sono uno spettacolo: uno si aspetta sempre uno show sopra le righe e puntualmente Quentin risponde con un senso della misura incredibile, lasciando il suo uditorio in bilico tra l’irritazione e la sconfinata ammirazione. Le innumerevoli frasi culto dei suoi film potrebbero tranquillamente addirsi anche al suo personaggio, si potrebbe dire che Quentin sia una persona sceneggiata da se stesso. Dice di sé: “Il mio stile che non so davvero cosa sia, c’è chi lo ama e chi non lo ama”. “Per me la violenza è un soggetto del tutto estetico”. “Quello che tento sempre di fare è di usare le strutture che vedo nei romanzi e applicarle al cinema. Per un romanziere non è un problema cominciare una storia dalla metà. Ho pensato che, se si riuscisse a concepire un sistema cinematografico analogo, sarebbe molto eccitante”. Illuminazioni e folgorazioni, alternate con diabolica perseveranza. O psicopatia.
Devi essere un grande attore perché gli attori mediocri fanno una brutta fine in questo lavoro
Lavorare con Quentin, quando ha voglia di lavorare, deve essere uno stimolo continuo, una gratificazione e allo stesso tempo uno stress indicibile. I suoi attori sono sempre straordinari, il merito non può essere che suo. L’icona della prima fase della carriera tarantiniana è Harvey Keitel, frutto della sua opera prima interamente al maschile (“Le Iene”) e capace di seguirlo sul set successivo, quello di “Pulp Fiction”. Qui inizia il connubio con Uma Thurman, meravigliosa Mia nel ’94, strabiliante Sposa nei due “Kill Bill”; l’attrice ha talento, ma è un dato di fatto che queste tre rimangano di gran lunga le sue prove migliori. “Kill Bill” ci regala un’eroina, una particolare attenzione al sentimento femminile e una considerazione negativa per i sesso opposto.
Quella donna merita la sua vendetta e noi meritiamo di morire / E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te
Tarantino introduce con una battuta la fase ‘rosa’ del suo cinema: “sono cresciuto in una famiglia di donne”. I punti in contatto tra “Kill Bill” e “A prova di morte” sono due: la determinazione femminile, la forza di donne portate vicine alla morte ma non abbastanza da liberarsene, e la vendetta. Cambia lo strumento, una macchina invece delle arti marziali, per allontanarsi un minimo dal cinema orientale (Park Chan-wook su tutti) in direzione del b-movie americano. Se il suo obiettivo è il film di serie b (ha annunciato uno ‘spaghetti’ all’italiana dopo “Inglorious Bastard”, già in cantiere) lo aspettiamo con curiosità mista a diffidenza: non è una prova di coraggio che gli viene richiesta, ma un’espressione violenta – non di violenza – capace di scuotere, se non vuole ricalcare i suoi esordi, con la stessa veemenza. Ad imbrattare le lenti delle cineprese di sangue sono capaci anche Robert Rodriguez o Eli Roth, come Quentin ci ha voluto dimostrare.