Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Venezia 2007 01/09: in questo mondo libero... il cinema va alla guerra

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a cura di Andrea Olivieri
E’ stato accolto con una standing ovation e con un lunghissimo applauso il film di Paul Haggis "In the valley of Elah", presentato in prima mondiale nella sala grande del Palazzo del cinema di Venezia, film in concorso alla 64° edizione della Mostra. Il pubblico quasi ancor prima che partissero i titoli di coda ha iniziato ad applaudire e ha tributato al regista Haggis e alla principale interprete femminile, Charlize Theron, un lunghissimo e commosso applauso.
Armato solamente di una 'piccola' pietra, un film, Paul Haggis si porta "In the Valley of Elah" - che assume i connotati del profondo New Mexico - come migliaia di anni fa fece David. Il Golia da combattere, questa volta, si chiama 'senso di responsabilità'. Allo stesso modo in cui il re Saul decise di mandare allo sbaraglio il giovane figlio, oggi un'intera nazione deve fare i conti con la scelta di aver spedito tanti giovani, uomini e donne, in Iraq. "L'idea di fare questo film - dice il regista - è nata nel 2003, dopo essermi imbattuto su Internet in moltissime immagini agghiaccianti provenienti dall'Iraq, video realizzati dagli stessi soldati americani, autori di azioni riprovevoli su civili feriti, anche bambini". "I media tradizionali non hanno mai raccontato la verità fino in fondo - sottolinea Haggis - anche perché gli inviati di guerra sono stati da subito cooptati dall'esercito e assoggettati a veicolare l'opinione del Pentagono".
"In the Valley of Elah", nelle sale italiane dal 23 novembre distribuito da Mikado, prende le mosse dalla scomparsa di un reduce dall'Iraq, tornato in patria e poi sparito misteriosamente. Tommy Lee Jones, patriottico veterano di guerra ed ex poliziotto militare, si mette sulle tracce del figlio scomparso, coinvolgendo nelle indagini una giovane ispettrice (Charlize Theron).
"Non ho voluto realizzare un film che 'avesse' ragione - prosegue Haggis, anche autore dello script - ma un dramma che attraverso le coordinate del giallo si trasformasse poco a poco in thriller morale. Spero che la gente, dopo la visione, possa interrogarsi sull'utilità di una guerra come questa, che costringe la società a subire il peso di perdite irrecuperabili sia in termini umani che di credibilità: i reduci dall'Iraq tornano in patria in completo stato confusionale, molti scompaiono, mentre il tasso dei suicidi è il più alto mai registrato da anni a questa parte".
Sorta di 'risposta' estetica al "Redacted" di De Palma, passato in Concorso, "In the Valley of Elah" costringe dunque lo spettatore a rapportarsi nuovamente con gli spettri, ancora vivissimi, di una nazione in piena lotta con se stessa: "Il cinema si è sempre interrogato sui drammi rappresentati dalle guerre e le sue conseguenze - spiega il regista - ma quello che sta succedendo ora è sintomatico. Il Vietnam, che sullo schermo trovò una corrispondenza non necessariamente immediata, veniva raccontato da giornalisti veri, non condizionati, capaci di convincere la gente a scendere per le strade e manifestare. I giornalisti facevano il loro mestiere, oggi non è più così e questo costringe noi artisti a prendere il loro posto, a porre quelle domande che dovrebbero fare loro".
L'ultima sfida di Ken Loach: "Racconto l'immigrazione ma attraverso lo sguardo dei padroni. Oggi non si lavora piu' con ma contro qualcuno". Così il regista inglese presenta "It's a Free World..." ("In questo mondo libero..."), in concorso alla 64ma Mostra e distribuito nelle sale italiane dal 28 settembre (BIM). Dopo "Il vento che accarezza l'erba", dramma storico premiato con la Palma d'oro a Cannes nel 2006, Loach torna all'attualità inquadrando il mondo del lavoro contemporaneo. Protagoniste Angie (Kierston Wareing) e Rose (Juliet Ellis), due giovani donne che aprono un'agenzia di reclutamento del personale a Londra.
"Angie e Rose - dice Loach - si comportano come oggi vuole la società: se il padre di Angie e l'immigrato polacco Karol riescono ancora a essere solidali, loro due lavorano contro altri. E il mio non è un punto di vista pessimistico, ma realistico". "Alla fine del film - dice la Wareing - Angie è avida, ma fa del suo meglio per andare avanti, per non mollare: credo che gli spettatori rimarranno coinvolti dalla sua situazione" perché, prosegue la collega Ellis, "oggi quando c'è un'opportunità, non si torna indietro". E quello che fa Angie nel finale, osserva Loach, "è quello che in Gran Bretagna, ma anche da voi, propugna la stampa di destra. E' la logica del business, del profitto". "Ma - aggiunge lo sceneggiatore Paul Laverty - bisogna pensare a quanto Angie ha passato: una trentina di occupazioni diverse in pochi anni". "Sicuramente - aggiunge il regista - che l'avidità sia femminile fa più effetto, ma nella società attuale le posizioni di uomini e donne non sono più tanto diverse". Del 2000 era "Bread and Roses", sette anni dopo c'è meno pane e ancor meno rose, come sarà tra altri sette anni? "Dipende solo da noi, dalla società civile - dice Loach - da come sapremo organizzarci e lottare insieme per cambiare la realtà".
Oggetto di un prossimo film sul mondo del lavoro, dice lo sceneggiatore Lavery, potrebbe essere "la Cina, vedere tra 10 anni come sarà la situazione dei lavoratori indipendenti e dei sindacati. Non che le cose nel Regno Unito siano più rosee: c'è una catena di supermercati che impiega lavoratori bengalesi pagandoli 84 centesimi l'ora".