Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Michel Gondry La visione dell'arte come ricerca scientifica

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a cura di Giordano Rampazzi
Quando si parla di Michel Gondry non si può non partire dal suo secondo lungometraggio, nonché il suo più grande successo: “Eternal sunshine of a spotless mind” – letteralmente Lo splendore eterno di una mente senza macchie e tradotto sciaguratamente con Se mi lasci ti cancello – è un piccolo capolavoro, basato sulla sovrapposizione di contorti piani esistenziali, tenuti insieme da un montaggio complesso quando espressivo e risolutivo. Per Gondry il sogno è un grande veicolo comunicativo, probabilmente il più puro e il più stimolante. La sua visione quasi scientifica della ricerca artistica riesce, dunque, a farsi amare per la grande capacità di tradurre sullo schermo il linguaggio onirico e cerebrale, inserendolo in contesti multiformi che spaziano dalla commedia brillante al dramma intimo e malinconico.
Il tratto distintivo delle opere di Gondry è indubbiamente costituito da quell’atmosfera sognante e soprattutto infantile che avvolge e coinvolge ogni corpo sulla scena. Questo, a onor del vero, lo ritroviamo prima di tutto nei suoi videoclip (ha girato video di Bjork, Radiohead, Rolling Stones, Massive Attack...), che lo hanno lanciato nel mondo dello spettacolo e gli hanno consentito di essere accolto come un innovatore del settore; grazie a una incredibile potenza delle immagini e a ostici intrecci logici, il regista di Versailles è riuscito sostanzialmente a consacrare il videoclip come una nuova vera forma d'arte.
La sua notorietà gli consente di essere accolto a braccia aperte dall'industria hollywoodiana più colta e nobile; fa così amicizia con lo sceneggiatore Charlie Kaufman (“Essere John Malkovich”, “Il ladro di orchidee”) e inizia una collaborazione – sarà sceneggiatore dei suoi primi due film – che fa la sua fortuna e lo rende inconsapevolmente star.
Con il suo terzo film, “L'arte del sogno”, spazza via ogni dubbio sul suo conto e decide di affidarsi all'impeccabile coppia Gael García Bernal-Charlotte Gainsbourg per descrivere la complessità e l'imprevedibilità delle relazioni amorose, creando uno dei finali più poetici e riusciti degli ultimi anni. La cifra distintiva del film, però, sta nell'incredibile impianto visivo costruito dal regista francese, che punta dichiaratamente a effetti speciali 'artigianali', che sfidano la banalità della perfezione e restituiscono magia all'irrazionalità e all'istintività cerebrale.
La sua penultima creazione, “Be kind rewind - Gli acchiappafilm”, può apparire come un semplice divertissement e poggia sull'idea che il Cinema è in primo luogo idea e in secondo partecipazione e passione. Tuttavia, come a volte succede nelle sue opere, il lato più leggero offusca quello più profondo. Oltre a regalare scene di rara comicità, infatti, Gondry affronta temi importanti e cruciali come il senso del cinema o l'essenzialità della sensibilità umana.
Con The green hornet arriva il primo film su commissione e Gondry è 'costretto' a cavalcare l'onda redditizia delle pellicole sui supereroi. Il film riprende un programma radiofonico degli anni '30 di grande successo che racconta le avventure di due eroi di Los Angeles pronti a tutto per combattere il crimine. Da lì il supereroe verde sbarca nel mondo dei fumetti e successivamente in quello delle serie tv. Il compito più arduo arriva dunque per Gondry, al quale viene richiesto di portare il Calabrone verde sul grande schermo. Il regista di Versailles opta per una parodia, un film d'azione nel quale tenta di reinventare delle atmosfere noir con un taglio totalmente ironico. Il risultato è una sorta di videoclip alternativo e divertente, in cui si pensa poco ma si rimane affascinati dai particolari.
Il cinema è finzione e sogno, oltre che una delle poche forme d'arte in cui lo spettatore rimane fermo e l'opera si muove. Michel Gondry sa come sfruttare questo importante veicolo comunicativo e si candida di diritto a diventare uno dei registi più interessanti dei prossimi decenni.
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