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Autore eclettico e imprevedibile, Frears ha realizzato dagli anni Sessanta a oggi una ventina di film, alcuni dei quali ricompensati da un notevole successo di critica e di pubblico oltre che gratificati da prestigiosi premi internazionali. Frears si inserisce nella migliore tradizione del cinema britannico, legandosi idealmente ad altri autori inglesi, quali Ken Loach e Mike Leigh. A collegare questi tre nomi non vi sono solo motivi anagrafici, riconoscimenti internazionali e produzioni televisive, ma anche una comune sensibilità sociale e un approccio stilistico spesso improntato al realismo.
Tuttavia, nella loro analisi, Mariolina Diana e Michele Raga evidenziano come Frears si sia dimostrato negli anni più disponibile al cambiamento, sia in senso estetico sia produttivo: ha infatti saputo alternare grandi produzioni hollywoodiane a film europei a basso costo, ha inoltre condotto una personale esplorazione dei generi (il noir, il film storico, il documentario, il western, il melodramma, la commedia musicale), aprendosi alla contaminazione e accogliendo l’anima più eccentrica della tradizione inglese.
Frears sfugge a una facile “etichettatura” anche in ambito tecnico. Interessato alle regole della messa in scena e alle possibilità formali offerte dal mezzo cinematografico, Frears abbina a tali inclinazioni stilistiche una modalità di lavoro sul set aperta all’improvvisazione e al contributo degli sceneggiatori nel corso delle riprese. Questa dualità non appare tuttavia così stridente se la si consideri quale espressione necessaria dello spirito artigianale con cui Frears affronta il mestiere di regista e il suo ruolo di autore. |
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