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20 gennaio 1942, Conferenza di Wannsee. Una riunione interministeriale mette a punto le strategie del Terzo Reich per la cosiddetta soluzione finale della questione ebraica, ossia lo sterminio di massa, metodico e sistematico, degli ebrei d’Europa. Tale processo di radicale distruzione prevede la cancellazione della sua stessa memoria attraverso l’eliminazione di ogni possibile traccia, di ogni possibile testimone. Il contromovimento è affidato a ciò che resiste dopo la distruzione. La fisionomia di tale data emerge perciò attraverso l’analisi del lavoro compositivo di alcune opere testimoniali: l’antiparola di Celan, in conflitto con qualsiasi spiegazione metafisica di Auschwitz; l’antropologia del prigioniero dei campi in Primo Levi e in Notte e Nebbia di Resnais; l’indagine sui volti dei sopravvissuti in Shoah di Lanzmann; la costruzione di un archivio del passato, a partire dall’assenza di immagini dall’interno dello sterminio, in Ungheria privata di Forgács e Histoire(s) du cinéma di Godard. L’immaginazione subordina le proprie strategie formali alla responsabilità verso ciò che è stato, in un rapporto agonico con i miti, gli stereotipi, i fantasmi dei carnefici, degli spettatori, delle stesse vittime. Tale orizzonte ridisegna il ruolo dell’estetica, che da riflessione sulla bellezza dell’opera si fa interrogazione della scrittura, ogni volta singolare, della verità dell’evento. |
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