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I testi raccolti in questa antologia hanno come tema comune il rifacimento di film (indiani) del passato, una pratica diventata di grande attualità nel cinema di Bollywood. Utile forma di esercizio artistico, sfida o tributo a mostri sacri o preoccupante carenza di idee originali? Questi gli interrogativi che si pongono davanti a questa dilagante febbre che sembra aver colpito molti registi indiani.
A ben vedere, tuttavia, più che un attacco improvviso di un virus influenzal-cinematografico, quella del rifacimento è nell’India del cinema – come del resto altrove – pratica antica e consolidata. Dal lontano 3 maggio 1913, quando Dadasaheb Phalke aveva deliziato uno scelto pubblico di Bombay con la “prima volta sullo schermo” di un film indiano a soggetto, Raja Harishchandra, la vicenda del sovrano eponimo ha avuto una decina di riproposizioni. Il caso più famoso rimane quello di Devdas, che inizia con l’omonimo romanzo di Sharatchandra Chattopadhyay del 1917, si impone con il film di PC Barua del 1935, a sua volta remake del precedente muto del 1928 di Naresh Mitra, si conferma con il rifacimento di Bimal Roy del 1955, si dissemina in altre versioni, per arrivare al bollywoodiano evento di Sanjay Leela Bhansali del 2002, accompagnato da un “doppio” bengalese, ad opera del veterano Shakti Samant, oscurato dal bagliore del compagno hindi. Senza per altro esaurirsi in semplici (si fa per dire) riproposizioni.
Anche Sudhir Mishra e Anurag Kashyap sono stato colpiti dall’infezione. Ma Sudhir ha per ora fatto marcia indietro dopo l’uscita nel 2009 del trionfale remake di Anurag, Dev.D. Tornando agli interrogativi d’apertura, se cioè l’attuale febbre del rifacimento sia dettata dalla penuria di storie originali o se sia una moda innescata da un paio di riproposizioni di successo, è un po’ presto per dare una risposta esauriente. Certo sembra essere diventato una specie di passaggio obbligato, un “esame di maturità” che molti registi sono pronti ad affrontare con baldanza, superandolo talora a pieni voti. |
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