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Gary Cooper è il caso classico di “attore” cinematografico: questo sostiene Orson Welles. Per Cecil B. DeMille la recitazione di Cooper è la combinazione di sicura autorevolezza e apparente disinvoltura che contraddistingue la vera arte. Secondo John Barrymore era il più grande attore del mondo.
I trentacinque anni della carriera di Gary Cooper corrono paralleli alla stagione più florida del cinema hollywoodiano, costellati di film di grandissimo successo che fecero di lui la perfetta incarnazione dell’eroe americano. Dagli esordi come comparsa negli ultimi anni del muto l’attore diventò una delle star più amate e ben pagate negli anni Trenta e Quaranta. Lubitsch, Capra, Hawks, e poi Hathaway, DeMille, Wyler e Zinnemann furono tra i registi che meglio seppero utilizzare il suo stile recitativo essenziale, scarno e prettamente cinematografico.
Laconico, schivo ed elegante nella vita, seppe incarnare sullo schermo eroi del west, soldati coraggiosi e brillanti uomini di mondo. Con più di novanta film, la sua parabola è paradigmatica di un modo particolare di essere attori a Hollywood, costantemente in bilico tra le logiche di un sistema industriale e le esigenze di emancipazione dai rigidi vincoli contrattuali ai quali le star erano sottomesse. Il libro - prima monografia italiana interamente dedicata all’attore - esamina la figura di Cooper da molteplici prospettive e sulla scorta di un’ampia ricerca d’archivio. La ricostruzione del suo percorso dall’attore corre parallela all’analisi della costruzione e della specificità della sua immagine divistica, indagando la sua variegata galleria di personaggi, le sue collaborazioni con registi, attraverso l’analisi dei suoi film più celebri. |
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