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Andrzej Wajda (1926) è fra le figure più interessanti del secondo '900 polacco. Regista di teatro e di cinema, disegnatore, professore onorario ASP (Accademia delle Belle Arti di Cracovia), è stato presidente dell'Associazione dei cineasti polacchi e docente alla Scuola di Cinema di Lódz. Nel clima di rinnovamento che pervade l'Est europeo a metà degli anni'50, in Polonia sono autori quali Andrzej Wajda, Andrzej Munk, Wojciech Has e Jerzy Kawalerowicz a rapportarsi, attraverso il cinema (e, nel caso di Wajda, anche il teatro) in maniera problematica e originale con la realtà contemporanea. L'inquietudine esistenziale si trasforma in strumento per la comprensione della realtà sociale e l'analisi della storia. In Wajda la letteratura e le arti figurative, che in Polonia più che altrove non possono prescindere dal destino storico del paese, suggeriscono i simboli e diventano le chiavi di interpretazione del presente. A tratti fortemente interiorizzato, in altri contemplativo, il suo lavoro pone quasi sempre l'individuo al centro del dramma. La solitudine, l'incomprensione, l'incomunicabilità tra le generazioni, sono alcuni dei temi che ricorrono. Ma la sua opera è composita e contraddittoria, e il tentativo di catalogarla o riassumerla diventa rischiosamente riduttivo. Con l'abilità di un pittore di grandi tele dell'epopea nazionale, Wajda descrive quadri e situazioni storiche enfatiche e complesse; con la sottile percezione di un monaco Zen restringe la stessa immagine in un gesto, uno sguardo, un silenzio. Con la collaborazione di Mauro Corso e Francesca Fornari. |
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