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Apolide, outsider perenne, Lech Kowalski ha trovato nella New York degli anni settanta un luogo brulicante di energia e conflitti. Ha raccontato come nessun altro l’esplosione del punk, mettendo in evidenza la carica eversiva e la tendenza all’autodistruzione propria del movimento e delle sue stelle cadenti. Ha filmato le star del porno, gli homeless del Lower East Side, i giovani anarchici di Cracovia e gli orfani afghani, con occhio attento alle dinamiche sociali e ai meccanismi di sopraffazione. Il suo è un cinema spiazzante, percorso da una vitalità struggente anche nel testimoniare i drammi più atroci. “East of Paradise” è il suo capolavoro: spaccato tra la testimonianza della madre deportata in Russia e il racconto del regista che ripercorre la sua carriera, sintetizza al meglio il desiderio di servirsi del cinema per trovare una voce propria e al tempo stesso renderla depositaria di una memoria condivisa. |
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