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Un percorso attraverso l’analisi dei principali contenuti e delle forme che fanno del regista coreano un grande autore contemporaneo. La violenza, l’istinto di morte, l’erotismo, la figura femminile e il tema del doppio che appartengono agli universi visivamente delimitati di Kim Ki-duk. Mondi chiusi in cui i personaggi sono prigionieri, dove reiterano i loro gesti, le parole e i silenzi, dove la ripetizione diviene principio narrativo e strutturale.
Lo scarto tra il vedere e il non vedere, il sentire e il non sentire, la metafora della visione, la pratica del silenzio e del mutismo, sono punti saldi di una comunicazione ambigua e misteriosa, imperfetta o semplicemente impregnata di umanità, spiritualità e irrazionalità, in mondi dominati dalle pulsioni.
Oriente e Occidente, la leggerezza e la comtemplazione, il paesaggio e la sospensione, coesistono con la tensione del dramma, la suspense, il gangster film, il poliziesco, il serial killer e ancora con la modernità, la sua relatività delle coordinate spazio-temporali, lo sguardo distaccato, antidrammatico, la ripetizione e la componente autoriflessiva ed ironica.
Vedere e non vedere, rendersi invisibili, o poter vedere oltre il visibile, comunicare con lo sguardo, o il guardarsi dentro, il cinema di Kim Ki-duk sembra esplorare questi estremi della soggettività. |
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