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L’ultima opera di Quentin Tarantino, ultima fino all’uscita dell’imminente "Grindhouse" (girato a 4 mani con Robert Rodriguez), si presenta come un doppio delirio cinefilo che travalica i confini del citazionismo post-moderno, proponendo un mondo al quadrato (se non al cubo) in cui il cinema di Tarantino stesso viene eletto a protagonista, ed omaggiato quale oggetto di culto. Da questa prende le mosse si dipana il saggio in questione, suddiviso in tre aree d’intervento: una prima indagine sulla struttura del racconto e dei personaggi, sugli aspetti di un mondo tanto falso quanto intriso di realismo; un lavoro di interpretazione dei maggiori temi del film, dalle questioni di genere (sessuale) alle simbologie della vita e della morte, compresa una disamina critica sulle grandi problematiche del post-moderno; una terza parte sulla messa in scena, con una descrizione della regia, del montaggio, della fotografia e della colonna sonora, rivelatori della qualità del lavoro formale proposto in "Kill Bill"; infine una conclusione che ritorna all’inizio, all’ambiguo titolo del libro, per cercare di capire perché e come il cinema sia morto e resuscitato nell’arco di 4 ore. E come su queste ceneri si possa ergere lo spirito sardonico di Tarantino e la fiera maternità di Beatrix - il futuro del cinema, come chiosa il testo, che aspettiamo di tornare a vedere presto nelle sale. |
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