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Un’interessantissima rilettura dell’opera cinematografica e dell’ideologia di Pier Paolo Pasolini alla luce del suo rapporto con l’Oriente. Attraverso l’analisi dei documentari indiani e africani meno noti fino ad arrivare a Edipo re, lo studio di Caminati mette a confronto critica testuale, teoria postcoloniale, filmologia e cultural studies, prendendo a “campione” l’artista che più di ogni altro aveva visto e previsto la necessità del confronto con l’altro, l’alterità e l’altrove. Mentre la “fortezza Europa” chiude i suoi cancelli a doppia mandata, già nei primi anni sessanta Pasolini si apriva all’incontro come ricerca personale e politica, intuendo la necessità di confrontarsi con la tradizione orientalista da un lato e con la concreta analisi dei problemi socioeconomici del Terzo Mondo dall’altro. È proprio nella dialettica di questo approccio politico ed estetico che si può collocare Pasolini all’interno del più ampio dibattito tiermondiste di quegli anni, ancora vivo ai nostri giorni: da Franz Fanon a Homi K. Bhabha, da Jean Rouch a Tracey Moffatt, dall’arte povera all’“estetica relazionale”, la fertilissima eresia pasoliniana si trova ancora una volta al centro del dibattito nell’era del cinema transnazionale. |
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