|
|
Dopo quattordici anni torna alle stampe l’acclamato saggio di uno dei maggiori studiosi italiani di cinema orientale, dedicato al leggendario capolavoro della cinematografia nipponica del 1954.
"I sette samurai" racconta la storia di un gruppo di guerrieri che decide di aiutare una comunità contadina a difendersi dall’assalto di una banda di briganti. A quest’intreccio dominante, tuttavia, il film ne affianca altri che abbiamo denominato come sottointrecci. Già Bazin notava l’ingegnosità diabolica della struttura del racconto del film, dovuta «all’armonia tra la semplicità della sua linea generale e la ricchezza dei particolari che a poco a poco gli conferisce spessore». Le storie individuali di Rikichi, Kikuchiyo, Manzô, Shino, Katsushirô, Gisaku e Mosuke non sono infatti parti a sé staccate dall’ordito generale dell’opera, ma, al contrario, si saldano strettamente a essa modellandone i due temi principali: quello del rapporto fra le classi dei contadini e dei guerrieri e quello della relazione fra il singolo e la comunità.
Quando, nel 1953, Kurosawa gira "I sette samurai" è ormai un regista di grande fama. Con "Rashômon", due anni prima, aveva inaspettatamente vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia e l’Oscar per il miglior film straniero. E tutto ciò grazie a un film che la casa cinematografica che lo aveva prodotto, la Daiei, pensava poco adatto ai gusti occidentali. |
|
|
|