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Dopo la scrittura dei romanzi degli anni ’50 Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), nel 1961 Pier Paolo Pasolini impugna la macchina da presa per un esordio cinematografico folgorante. Esattamente come la produzione narrativa, anche l’esperienza filmica di uno dei più importanti personaggi della cultura italiana del Novecento rivela un’ispirazione populista incentrata sui ragazzi delle borgate romane e sulle loro «derelitte quotidianità».
Dal giovanissimo Bernardo Bertolucci aiuto regista a Sergio Citti collaboratore ai dialoghi dialettali, dalla Passione secondo Matteo di Johan Sebastian Bach al «sole e alla polvere» nel bianco e nero di Tonino Delli Colli, "Accattone" rimane ancora oggi l’indimenticabile, primo contributo che il poeta-romanziere-giornalista-critico Pasolini ha dato alla storia del cinema italiano.
La docente universitaria Stefania Parigi apre il suo denso e ammirevole saggio con l’arrivo di P.P.P. a Roma, nel 1950, e l’incontro di questi col mondo del cinema (le collaborazioni con Fellini, Bolognini, Lizzani), per poi illustrare il linguaggio cinematografico inseguito dal regista, alla ricerca di un «pensiero teorico» che postulasse la sua intenzione artistica cinematografica.
Accattone viene poi riconsiderato dall’autrice nella sua puntuale suddivisione in sequenze e sottosequenze, dalla quale scaturisce l’analisi di alcuni temi figurativi del film quali «il sole e la polvere» e «gli angeli, le croci e le stelle». E se il discorso sull’«esergo dantesco», ossia sulla citazione di alcuni versi del canto V del Purgatorio posti in apertura del film, lega (solo apparentemente) Accattone al tema della redenzione morale - cattolica - del protagonista, il discorso su «l’occhio di Masaccio» lega invece il film alla matrice pittorica costantemente inseguita da Pasolini nella costruzione visiva delle singole inquadrature. A tal proposito, la Parigi ricorda le parole dello stesso P.P.P.: |
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