"Esistenze precarie e sguarnite."
Un film dai profondi contenuti accompagnati da un forte impatto visivo; "Happy Together" ha uno stile di grande audacia lirica, intenso, aspro, spezzato, meraviglioso. Capace di esprimere ammirevolmente, alternando bianconero e colore, accelerazione e stasi, la desolazione doppia del paesaggio urbano e della solitudine infelice, come e più degli altri film di Wong Kar-wai. L'intreccio è torbido, coraggioso, ripetitivo, convulso, come tante storie d'amore. Procede a strappi come la sua voce narrante, sempre in anticipo o in ritardo sui fatti ma sempre in sincrono con i movimenti interiori.
Con una notevole leggerezza di tocco alla Kieslowski (personaggi che si sfiorano senza incontrarsi) e rotture sintattiche alla Godard (un montaggio anarchico), Wong Kar-wai aggiorna il suo 'ipertesto' che gagliardamente fa procedere di pellicola in pellicola. In "Happy Together", i rimandi alle pellicole precedenti sono molto di più che semplici riferimenti o accademiche autocitazioni. Rappresentano l'avanzare concreto di una narrazione attraverso più capitoli di una stessa vicenda esistenziale contemplata nella personale visione del mondo. I simbolismi, la frammentazione dei punti di vista, i colori densi e pastosi della fotografia di Christopher Doyle, l'accurata disposizione dei corpi all'interno dello spazio, sono coordinate già note a cui Wong Kar-wai dà valenze ulteriori ad ogni film.
La parola chiave di "Happy Together" è "contrasto": nei colori, nei dialoghi, nelle immagini, ma soprattutto nelle musiche, splendide e struggenti.
Un film alienato. Alienante.
Premio per la miglior regia al Festival di Cannes 1997. |