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Nello, un imprenditore milanese che ha perso la propria posizione, si ritrova a dirigere una cooperativa di ex pazienti di ospedali psichiatrici dopo l'entrata in vigore della legge Basaglia. Credendo fortemente nella dignità del lavoro, Nello spinge ogni socio della cooperativa a imparare un mestiere per sottrarsi alle elemosine dell'assistenza, inventando per ciascuno un ruolo incredibilmente adatto alle sue capacità ma finendo per scontrarsi con inevitabili quanto umanissime e tragicomiche contraddizioni. |
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Si può fare un film sulla malattia, in questo caso mentale, senza essere scorretti né troppo corretti, senza deprimere, al contrario divertendo e facendo partecipare il pubblico a quella che è una storia collettiva. Giulio Manfredonia, al suo terzo lungometraggio di fiction, evita la ricerca dell'identificazione dello spettatore con il protagonista o con gli altri personaggi, lasciandolo seduto in pace ad assistere ad una favola non del tutto inventata. Lo spunto è cronaca, l'elaborazione è merito di Fabio Bonifacci, il risultato è il frutto di mesi di prove e di un lavoro di squadra, condotto da un regista con poca esperienza e da attori sconosciuti al grande pubblico, con quattro punti di riferimento: Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giorgio Colangeli e Giuseppe Battiston.
“Si può fare” riesce ad essere al tempo stesso una favola esistenziale ed un film sull'Italia degli anni '80, ben rappresentata nelle tematiche d'attualità ed appena accennata nelle scenografie. Riesce a parlare di un tema importante e a mettere in discussione alcuni aspetti di una pietra miliare quale la legge Basaglia senza mai calcare la mano, senza portare alcuna verità, ma solo un punto di vista. Punto di vista che è laterale rispetto a quello di Nello, sindacalista cinquantenne, in rotta con la moglie perché troppo arretrato, con il sindacato perché troppo avanzato. Nello rispecchia il clima di confusione che si è venuto a creare in un momento in cui Mercato e Diritti si contrapponevano, ma il punto di vista di Manfredonia è quello finale, che coglie le buone intenzioni di Nello e il passo in avanti del dottor Del Vecchio, sensibilità e psichiatria.
La dinamica dei rapporti umani interni alla storia è prevedibile, ma è la macrostoria che conta in questo film e gli attori sono bravi a rendere veri i propri personaggi. Il punto di forza del film è nella comicità di molte situazioni, non ci sono macchiette ma c'è molta ironia. La frase che meglio sintetizza lo spirito della Cooperativa 180: “siamo matti, mica scemi”. |
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Commenti del pubblico |
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