La vita di Jacques Mesrine, il criminale francese più famoso dal dopoguerra ad oggi, viene portata sul grande schermo da Jean-François Richet e Abdel Raouf Dafri con un progetto che, ultimamente, eravamo abituati a veder realizzare per la televisione. La carne al fuoco era tanta da giustificare la scelta di dividere in due parti il materiale, chiamando “L’istinct de mort” il periodo degli anni ’60 e “L’Ennemi public n°1” il decennio successivo, che si chiude nel ’79 con la morte di Mesrine.
Proprio dalla sua morte, un esecuzione in mezzo alla strada come ti aspetteresti da una cosca mafiosa e non dallo Stato, parte il racconto; è una breve introduzione, ben girata e soprattutto ben montata tra i titoli di testa, forse il momento più avvincente del film. La storia vera e propria parte dall’inizio degli anni ’60, con la guerra d’Algeria e il ritorno in Francia di un giovane Jacques segnato da quell’esperienza. Il suo ingresso nel mondo del crimine è rapido, e dopo pochi anni occupa interamente la sua vita (all’inizio divisa tra famiglia e cattive amicizie, finché riesce a tenerle separate). Non c’è mai compassione né ammirazione nel mostrare le scelte di Jacques, ma un tentativo semplice di narrazione; non è una cosa ovvia, considerando che oggi, forse ancor più di ieri, il mito di Mesrine è vivo e in molti, in particolar modo tra i giovani che non hanno vissuto quegli anni, lo considerano una sorta di Robin Hood. Costruire il film partendo dal suo romanzo autobiografico, scritto in carcere prima di evadere, rischiava di alimentare questo falso mito: l’operazione è invece quanto più onesta possibile, attingendo alle memorie delle persone che sono passate sulla sua strada, ricostruendo la realtà che un bugiardo cronico quale Mesrine non può aver conservato inalterata. Sullo schermo Mesrine, interpretato da un Vincent Cassel alla sua prova migliore (per la seconda parte – la prima in ordine cronologico ad esser stata girata – è ingrassato di 20 chili), o almeno sui livelli de “L’odio”, è un eroe con il quale il pubblico rifiuta di identificarsi se non a tratti; nella successione dei momenti topici si prova una costante alternanza tra attrazione e repulsione, finendo per assistere dall’esterno a una storia che non coinvolge.
Detto del ritmo e di un cast – interamente franco-canadese – adeguato al genere (più Cécile De France e Roy Dupuis in ruoli d’azione, ma non è da sottovalutare la staticità di Gérard Depardieu che caratterizza un personaggio di cui si sa poco e s’immagina moltissimo), il giudizio non può che rimanere sospeso, in attesa della seconda parte che – per fortuna – uscirà a distanza di un mese dalla prima. |
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