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Quarant'anni fa Harriet Vanger è scomparsa da una riunione di famiglia sull’isola abitata dal potente clan dei Vanger, che ne sono anche i proprietari. Benché il corpo della donna non sia mai stato ritrovato, lo zio è convinto che sia stata assassinata e che l’autore del delitto sia un membro della sua stessa famiglia. Per indagare sull'accaduto, lo zio assume il giornalista economico in crisi Mikael Blomkvist e la hacker tatuata e senza scrupoli Lisbeth Salander.
Dopo aver collegato la scomparsa di Harriet a una serie di grotteschi delitti avvenuti una quarantina d’anni prima, i due investigatori cominciano a dipanare una storia familiare oscura e sconvolgente. Ma i Vanger sono gelosi dei loro segreti, e Blomkvist e Salander scopriranno di cosa siano capaci per difenderli. |
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Homo feminae lupus
Niels Arden Oplev dirige, dopo molto insistere da parte della produzione, il primo dei tre film tratti dalle opere di Stieg Larsson, giornalista prima che scrittore scomparso nel 2004, a cinquant’anni, mentre stava scrivendo il suo quarto romanzo. Pensato come una composizione di dieci libri, la “trilogia Millennium” è stata pubblicata postuma ed è diventata un caso editoriale, rimanendo per mesi nelle classifiche di vendita non solo europee. Come tutti i bestseller non si tratta di alta letteratura, ma siamo già a un livello superiore di Dan Brown o simili e traspare l’onestà dell’autore nel non limitarsi alla costruzione del thriller, cercando di porre l’attenzione su importanti aspetti sociali.
Oplev, non un fan di Larsson, accetta di realizzare il primo film (gli altri due, girati da Daniel Alfredsson, usciranno a cavallo tra fine anno e primavera 2010) purché gli sia concessa carta bianca: insieme ai due sceneggiatori spoglia il romanzo ricavandone una trama ridotta all’osso, quindi ricostruisce attorno a questa traccia le atmosfere del libro, riuscendo ad esaltarne gli aspetti cinematografici. Il lavoro che si nota di più è quello sui personaggi, semplificati nella doppia direzione di una maggior veridicità e, allo stesso tempo, di un rapporto tra i due protagonisti (Michael Nyqvist e Noomi Rapace) più lineare.
Il vizietto di Larsson, il finale harmony-style che chiude ogni storia aperta con soddisfazione del lettore, è purtroppo replicato sullo schermo, con oltre mezzora di inutili appendici che più che completare il film lo appesantiscono. Questa linearizzazione del finale finisce per sminuire la portata del film, che non è il lato giallo-thriller ma è la denuncia di una società che sembra sana solo se vista dall’esterno, ma si scopre facilmente patriarcale, malata e violenta. Il lato dark che Larsson ha voluto portare alla luce rimane visibile tra le maglie di un film ben confezionato ma che non convince. |