"L’ovvio annega."
I desideri e le speranze dell'uomo, sono troppo grandi per lasciare colei che ha scelto come sua sposa. "L’arco" (teso) di Kim Ki-duk agisce lontano ogni canone spazio-temporale, affidando alle immagini e alle sensazioni il racconto di una storia d’amore particolare, combattuta, all’interno della quale si mettono in funzione i meccanismi della vita e delle emozioni, dei sentimenti corrisposti e non, delle gioie sussurrate con malinconici sospiri e dei dolori taciuti da qualche lacrima versata.
Kim Ki-duk caratterizza le anime in pena della società crudelmente quotidiana, attraverso la violenza rappresentata in quei percorsi dove il dolore carnale lascia spazio a quello che trattiene lo spirito, tenendolo ingabbiato alla sua quotidianità vissuta in quello che si profila, giorno dopo giorno, un istinto nostalgico.
La protagonista, appesa sull’acqua, con i piedi che riescono a sfiorare la superficie del mare, osserva con sguardo perso (traiettoria arcuata) l’immutabilità della propria vita; la concezione dell’amore, dell’unione unione/disgregazione sociale, restano gli elementi basilari della pellicola: il sentimento inteso come assoluta rottura degli schemi è un inarrestabile flusso emotivo di sensazioni spesso contrastanti, una forma di salvezza all’ennesima potenza. Un tacito bisbiglio è la massima passione a cui si possa aspirare, un sorriso nascosto, una rivelazione. La dolce ambiguità sognante, è l’ossessione di un’altalena (amore) esistenziale rappresentata da una freccia e una corda di legno ormai invecchiata; un solo errore e l’equilibrio (precario) potrà disperdersi nell’infinito mare che circonda l’assordante silenzio della barca, rotto solo dallo scricchiolio prodotto dai passi…
Presentato in concorso a Cannes 2005. |