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La visione di MOTEL WOODSTOCK mi ha positivamente sorpreso, con un Ang Lee felicemente impegnato a decostruire il mito e i valori della gioventù hippy. Magistrale l'ironia – sottile, tagliente – con cui la sua macchina da presa osserva i personaggi, nell'intento di smascherarne il buonismo capitalista e tutto lo "sfarzo alternativo". Ma ciò non avrebbe un senso narrativo se non vi fosse l'anziana coppia dei gestori del Motel, a mostrarcene l'antitesi tragicamente proletaria: ebrei russi, profughi dai pogrom. I quali, forse, ci rivelano l'autentica dimensione poetica dell'evento; una poesia che si nasconde, atipica, tra le mille ossessioni che attanagliano chi è sopravvissuto ad un passato di miseria. «Papà, perché hai sopportato la mamma per quarant'anni?» – «Perché l'amo»: un dialogo sommesso, una silente verità che decine di slogan e centinaia di Watt non riusciranno a far tacere.
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