|
|
Franco, giocatore d'azzardo che ha speso la vita sui tavoli da poker e nelle sale corse di Napoli, è sempre in fuga da strozzini e debitori. Dopo tanti colpi a vuoto, Franco tenta il riscatto definitivo con i soldi risparmiati faticosamente dalla figlia per il suo imminente matrimonio, ed è l'ennesima sconfitta. L'ultima partita, quella della possibile salvezza, non sarà lui a giocarla, ma suo figlio Giovanni. |
|
|
|
Rifacendosi apertamente alla tradizione della commedia all’italiana, Vincenzo Terracciano narra la storia del classico mascalzone dal cuore d’oro, un padre tanto affettuoso quanto irresponsabile e bugiardo, che dilapida la sua misera pensione ovunque sia possibile perdere dei soldi: in una sala scommesse, una ricevitoria o in un circolo di biliardo. Il vizio del gioco, incurabile e crudele, finisce per rovinare il fragile equilibrio familiare e allontanarlo sempre più dalle persone che ama: non si può curare una malattia invocando quel pizzico di fortuna che ovviamente non arriva mai, non può la speranza essere un valido anticorpo. Lungi dal risolvere i problemi, ma anzi, moltiplicandoli in maniera esponenziale, il "gioco" finisce per dare tinte sempre più drammatiche a una storia apprezzabile per sobrietà e rigore stilistico, ma proprio per questo anche troppo fredda e asciutta, nonostante la grande prova di Sergio Castellitto. Sebbene a tratti interessante, la sceneggiatura risulta incerta e poco accattivante, con due protagonisti (il gioco e Marco Campanella) troppo slegati da un contesto sbiadito e poco definito.
Presentato all’ultima edizione del Festival di Venezia, sezione Orizzonti. Nonostante all’orizzonte, in fondo, non si sia scorto nulla di nuovo. |