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Duemila anni fa, l’Imperatore Han invia il suo esercito all’estremo confine occidentale della Cina, oltre il Deserto del Gobi, per sottomettere le tribù ribelli. La zona, pericolosa e inospitale, al giungere dell’inverno, è popolata solo di lupi. Dopo battaglie cruente e spargimenti di sangue, il Comandante Lu e i suoi uomini iniziano la ritirata, trovando rifugio dalle bufere in un villaggio della tribù maledetta degli Harran, che vivono sottoterra e di cui la leggenda racconta si tramutino in lupi. Un ‘amore bestiale’ legherà Lu ad una misteriosa, inquietante vedova. |
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Perché presentare nella sezione “Anteprima” al Festival di Roma questo film? D’accordo il successo che i film orientali e cinesi in particolare hanno ottenuto nei festival europei in quest’inizio di millennio, ma qui si tratta di un film non in concorso (dove c’è un altro cinese, ancora più brutto, “Qingnian”) ma in una prestigiosa vetrina dei film che vedremo al cinema nei prossimi mesi; “Lang zai ji” non ha invece distribuzione italiana, e non c’è da augurare alle aziende nostrane di prenderlo: il film è difficilmente ascrivibile ad un genere preciso, né guerra né fantasy, lontano dalla tradizione patria dei film di cappa e spada. Come se non bastasse, una sceneggiatura incomprensibile ed un montaggio che ne esalta i difetti riducono il tutto ad un noioso film nel quale le scene di sesso sono, senza essere erotiche ma al contrario ridicole, l’unico motivo per non uscire subito dalla sala. |
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