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Recensione: La mala educación

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La mala educación
titolo originale La mala educacion
nazione Spagna
anno 2004
regia Pedro Almodovar
genere Drammatico
durata 105 min.
distribuzione Warner Bros
cast G. García Bernal (Zahara) • F. Martinez (Enrique Goded) • F. Boira (Ignacio) • J. Cámara (Paca/Paquito) • L. Homar (Sig. Berenguer)
sceneggiatura P. Almodovar
musiche A. Iglesias
fotografia J. Alcaine
montaggio J. Salcedo
media voti redazione
La mala educación Trama del film
All'inizio degli anni '60, in un collegio religioso, due ragazzi, Ignacio e Enrique, scoprono l'amore, il cinema e la paura. Testimone e parte attiva delle loro scoperte è Padre Manolo, direttore del collegio e professore di Letteratura. I tre personaggi si incontreranno altre due volte nel corso della vita: alla fine degli anni '70 e nell'80. Questi incontri segneranno la vita e la morte di alcuni di loro.
Recensione “La mala educación”
a cura di Andrea Peresano  (voto: 6,5)
"Nací en una mala época para España, pero muy buena para el cine."

Ignacio e Enrique si conoscono in collegio e si cercano, instaurando un rapporto di intima complicità e grandissima affinità.
Tra loro si frappone Padre Manolo, preside e istitutore invaghito di Ignacio e della sua voce ipnotica, e che con la sua "simpatia" segnerà per sempre la vita del giovane.
Queste le tre figure centrali della storia, che lascerà i tristi anni ‘60 spagnoli per attraversare le decadi d’oro della movida madrileña e della Spagna post-franchista in generale, ripercorrendo le tappe principali anche della vita del regista stesso. I personaggi si rincontrano cambiando scenari ma anche ruoli, passando da dominatori a dominati, da vittime a carnefici.
Al tempo reale si alterna il ricordo e a tutti e due si sovrappone la finzione cinematografica e l’immaginazione della storia da parte dei personaggi. L’epilogo non sarà un punto di fine alla vicenda centrale, che rimane sospesa nell’impossibilità della soluzione, ma più il raggiungimento da parte dei singoli personaggi di una personale conclusione. La struttura e l’intreccio sono bilanciati in un perfetto schema di scambio di personaggi, stravolgimento di ruoli, e colpi di scena, e tutto ruota intorno al triangolo centrale formato dai tre protagonisti.
Tipica da parte di Almodóvar la ricerca di un equilibrio nella sceneggiatura, soprattutto grazie ai movimenti dei personaggi, alle uscite e alle entrate, a porte che si aprono e a porte che si chiudono.
Ritorna l’artificio della rappresentazione nella rappresentazione, del cinema nel cinema, della finzione scenica all’interno di un opera di finzione, in mutuo accordo con lo spettatore, che in un primo momento non riesce neppure a distinguerle. La vita vissuta si intreccia con quella che si sarebbe potuto vivere (e che forse non si è voluto vivere) sullo sfondo di quella che ora si sta vivendo. Interessante la totale assenza di personaggi femminili, a parte la madre di Ignacio appena accennata. Una vicenda, quindi, che ruota interamente intorno a figure maschili. In poco più di cento minuti Almodóvar ci regala un affresco della rovente Spagna degli anni ’70-’80, in grande fermento artistico e culturale, alla riscoperta della propria identità e della propria libertà dopo la caduta del regime.
Dipinge con la maestria che lo caratterizza immagini della vita da lui in prima persona vissuta, riproponendo un percorso di crescita molto simile al suo ma non totalmente autobiografico, e ci tiene a precisarlo e ribadirlo in varie occasioni, raccontando le situazioni e trattando le tematiche vent’anni dopo e quindi con distacco analitico. Colorata e truccata la realtà di Almodóvar, ritorna ad immagini più estreme e più crude e atmosfere noir che hanno caratterizzato alcune delle sue prime produzioni, ripresentandole, però, con un ottica più matura e (quindi?) decisamente più fredda e disincantata.
È proprio nel suo mondo colorato che noi alla fine ritroviamo la realtà, le persone reali, che spesso hanno più rossetto e fondotinta dei travestiti delle sue storie. Ma l’impatto cromatico a cui siamo abituati qui lo ritroviamo principalmente nella finzione del set cinematografico, mentre nella vita, con toni e tinte più cupi, i personaggi sono uomini normalissimi. L’unico vero transessuale, Ignacio, ridotto pietosamente dalla vita impossibile e dalla droga nella quale si è rifugiato, è decadente come la Barcellona che lo ospita, rappresentando in se le difficoltà di una scelta forte negli anni in cui lo ha fatto lui.
Crudi anche i dialoghi, altro elemento caratterizzante della sceneggiatura del regista, qui meno artificiosi e più diretti.
Siamo di fronte alla quindicesima opera del regista spagnolo, e ad un copione che, a dir suo, ha tra le mani da circa dieci anni.
È un Almodóvar molto arrabbiato, un Almodóvar che butta fuori questa rabbia, non soltanto per pura vendetta personale, nè per riscatto verso chi magari non lo ha aiutato o compreso. Ha dichiarato che se avesse dovuto girare questo film per vendicarsi di qualcosa l’avrebbe potuto fare già da tempo. È una forte presa di posizione da parte del regista, come oggi siamo abituati a veder fare spesso, in un momento di discussioni sia religiose che sessuali. È una testimonianza e un attacco ad una mentalità spagnola che c’è stata e che ancora sopravvive, legata alla religione vista come mero dogma, e tacciabile di idolatria, e a quella chiesa che si fa forte di questo rifugiandosi dietro a veti e immagini sacre, alimentando la cultura della paura. Non un attacco alla religione Cristiana in generale, anche se forse, presentando un esempio tanto estremo, senza alternative, il risultato più immediato è proprio questo.
Dopo aver inaugurato il Festival di Cannes, con una dedica del regista alle vittime dell’attentato del passato 11 Marzo a Madrid, e aver ricevuto numerosi altri riconoscimenti internazionali, "La mala educación" è candidata per cinque nomination alla quattordicesima edizione dell'European Film Awards, che si terrà al Théatre National de Chaillot a Parigi il 2 dicembre.
Fra le nomination da segnalare quella come "Miglior compositore" ad Alberto Iglesias, ormai collaboratore fisso del regista, e vincitore inoltre di vari Goya Awards, gli Oscar spagnoli, nella categoria “Miglior colonna sonora” oltre che per i film con Almodóvar anche per "Lucía y el sexo" di Julio Medem.
Importante poi sottolineare che con questo film si conferma, nonostante non con una delle sue interpretazioni migliori, la figura di Gael García Bernal, giovane promessa del cinema messicano in “Amores perros” di Alejandro González Iñárritu, e da poco nelle sale con “I diari della Motocicletta” di Walter Salles in cui interpreta un giovane Che Guevara, che ormai si è imposto nel panorama europeo cinematografico e internazionale in genere.
In complesso un bel film, non l’opera migliore del regista, apprezzato per capolavori come "Habla con ella" o "Todo sobre mi madre", senza dimenticare la bellezza di “Mujeres al borde de un ataque de nervios”, sicuramente lontano dall’universalità di queste opere, ma comunque valido, anche se, per la dialettica diretta e senza mezzi termini, può non raggiungere la totalità del pubblico.
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Medaglia di Bronzo (51 Commenti, 80% gradimento) barney Medaglia di Bronzo 29 Ottobre 2014 ore 18:13
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Utente di Base (0 Commenti, 0% gradimento) Marcolino93 17 Dicembre 2013 ore 22:35
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Utente di Base (0 Commenti, 0% gradimento) mediNat 24 Maggio 2013 ore 00:01
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Medaglia d'Oro (264 Commenti, 70% gradimento) mimma Medaglia d'Oro 14 Settembre 2012 ore 13:47
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Medaglia d'Oro (273 Commenti, 64% gradimento) anzianzi Medaglia d'Oro 27 Agosto 2012 ore 11:14
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Utente di Base (0 Commenti, 0% gradimento) woody 2 Agosto 2012 ore 15:56
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Utente di Base (0 Commenti, 0% gradimento) martella 6 Marzo 2012 ore 14:56
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Utente di Base (7 Commenti, 85% gradimento) angelonero 6 Gennaio 2012 ore 21:03
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Utente di Base (40 Commenti, 27% gradimento) andrea_cavax 23 Ottobre 2011 ore 17:35
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Utente di Base (0 Commenti, 0% gradimento) nene 29 Luglio 2011 ore 07:52
voto al film:   7


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