Un po’ troppo frequentemente gli americani si ricordano che, nella loro visione del mondo, il Football è metafora della vita, e sentono il bisogno di comunicarlo attraverso un film. Questa volta è un ex-giocatore al centro della vicenda, con il suo passato di sogni spezzati da un brutto infortunio ed il futuro da allenatore che lo aspetta: nel mezzo, un viaggio iniziatico nell’abisso del mondo delle scommesse (ma dal lato ‘intelligente’ del banco), per perdersi e poi ritrovarsi.
Il tutto sa di già visto, non una ma decine di volte: una volta scoperto il segreto per legare al cinema lo sport più popolare a stelle e strisce (quello che in Italia ancora non sono ancora riusciti a fare con il calcio), le produzioni non muovono un passo alla ricerca di qualcosa di cui non sentono il bisogno.
A dare lustro al film, ed a garantirne un congruo numero di passaggi televisivi negli anni a venire, è Al Pacino, scomodato dall’Olimpo in cui potrebbe meritatamente riposare per la gioia del semi-carneade D.J.Caruso, fino ad Identità violate conosciuto (poco) solo dal pubblico televisivo; il suo personaggio è l’indiscusso protagonista, non per numero di battute o per la morale finale, ma per un diverso spessore, fatto di sbalzi d’umore, iniziative fuori dalle righe e segreti (immaginabilissimi) nascosti. Senza bisogno di strafare, riesce a dare al prodotto quel tocco di personalità di cui aveva disperatamente bisogno in assenza di originalità.
Per il resto, apprezzando comunque l’impegno di Matthew McConaughey e quello di Rene Russo in ruoli fin troppo facili, il film vive sull’ambiguità del giudizio morale sul mondo delle scommesse: che sia facile rovinarsi si capisce, e l’ultima scommessa dimostra che affidarsi alla sorte sia meglio che impegnarsi in calcoli statistici e studi approfonditi. Ma il resto del film dice ben altro, dice che basta competenza ed impegno per vincere, che il talento è un fattore predominante sulla sfortuna: dice che tirando una moneta, esce il risultato giusto. |