Lei, lui, l’altro.
Un triangolo atipico ha il centro in Mirabelle, alle prese con il primo, serio amore. Da una parte Jeremy, dall’altra Ray: due mondi opposti, due modi diversi di intendere un rapporto, ma accomunati dallo stesso difetto. Entrambi lo supereranno, ma a quel punto ci sarà posto solo per uno, Jeremy, che pecca nei confronti di Mirabelle per inesperienza, mancanza di scioltezza: tutte cose che, col tempo, si lascerà alle spalle.
Ben più grave è la colpa di Ray che rimane chiuso per una scelta (mal)ponderata, per paura di innamorarsi si costringe a non corrispondere l’amore che Mirabelle, al contrario, si impegna ad offrirgli. La volontà negativa di Ray la ferisce molto più profondamente dell’incapacità di Jeremy, ma c’è il sospetto che la coppia ‘vincente’ sia quella giusta ‘per natura’.
Sospetto in parte fugato dal finale, in cui l’appianarsi delle cose lascia, per una volta, il campo all’amarezza: quella di chi capisce d’essersi comportato nella maniera sbagliata, d’aver amato senza accettarlo, senza possibilità di rimediare; quella di chi capisce d’aver amato la persona sbagliata, o forse la persona giusta nel momento sbagliato; quella, infine, dello spettatore, che vede il protagonista uscire di scena e lascia l’eroina tra le braccia dell’uomo giusto, sì, ma che lui, lo spettatore, non riesce ad amare.
Uno Steve Martin sotto le righe è un evento raro: probabilmente si tiene a freno per non rischiare di rovinare il proprio romanzo, riuscendoci perfettamente; il risultato è una commedia piacevole, lontana anni luce dalle esasperazioni hollywoodiane, una commedia in cui ogni piccola cosa riesce ad avere il giusto peso, da un paio di guanti a un sorriso, fino ad una colonna sonora vivace ma mai dominante. |