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Il minorenne Frank Abagnale jr, partendo da un libretto d’assegni ed un conto in banca di pochi dollari, in poco tempo riesce ad accumularne oltre sei milioni: sulle tracce del falsario più famoso d’America si mette tutta l’FBI. A prenderlo, in Francia e dopo oltre due anni di inseguimenti, sarà Carl Hanratty, agente federale scottato dal suo primo incontro con Frank. Ma la storia non finisce con l’arresto... |
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Steven Spielberg e la commedia: un binomio tutto nuovo, un risultato in linea, c’era da aspettarselo, con la carriera del regista americano.
Tratto dall’autobiografia di Frank W. Abagnale jr., quindi da una storia vera (ma da prendere con le molle, perché autocelebrativa e perché scritta da un truffatore), Prova a prendermi affonda le sue radici culturali nel più famoso inseguimento degli anni ’90: Heat – La sfida, di Michael Mann. Rinunciando al fascino irraggiungibile dei protagonisti (ormai affermato Tom Hanks, in grande crescita Di Caprio, ma Al Pacino e De Niro sono un altro mondo), Spielberg si concentra su di loro, eliminando le parti accessorie, la spettacolarità che non si addice a questa versione, il lunghissimo finale ridotto ad una breve lotta verbale prima della resa.
La figura di Carl è quella classica dell’agente onesto che si trova a fronteggiare un criminale più intelligente, ne subisce il fascino ma non gli da tregua; quella di Frank, data la giovane età del soggetto, ma anche il punto di vista parziale dello scrittore, subisce un’evoluzione. Di lui si racconta l’infanzia, i rapporti familiari che ne causano la disonestà, comunque eredità paterna, ma anche il lato puro, il grande affetto per i genitori, il sentimento di rivincita, la volontà di dare loro quello che da soli non sono riusciti ad avere.
L’uno determinato ed imperturbabile, l’altro costretto all’improvvisazione, ad uscire dagli schemi per non essere catturato, emblemi di due tipologie di solitudine opposte ma convergenti, i due finiscono inevitabilmente l’uno nelle braccia dell’altro. La cattura è vissuta, dai personaggi ma anche dallo spettatore, come un ritrovarsi dopo molto tempo tra due persone che avevano bisogno di stare insieme. Il grande truffatore, nato in seguito ad un vuoto creatosi tra lui ed il padre, muore quando questo vuoto torna a riempirsi, quando Carl ne prende il posto.
Se i due protagonisti sono costretti a confrontarsi con modelli inimitabili, nelle caratterizzazioni minori il film prende quota: Martin Sheen è bravo nella breve parte di mancato suocero di Frank, Christopher Walken, in quella più lunga del padre, è splendido, riuscendo a costruire, attorno al suo sguardo sofferente, un personaggio perdente ma vivo, ferito dall’inutilità della propria dignità più che dai propri fallimenti. |