Liberamente tratto dal racconto “Novecento” di Alessandro Baricco, “La leggenda del pianista sull’oceano” è una favola delicata del maestro Giuseppe Tornatore che ci racconta la vita di un personaggio unico e magico, il pianista Novecento. Apparso su di una nave da crociera ad inizio secolo quest’uomo leggenda vi passerà tutta la vita senza mai lasciare il piccolo mondo galleggiante dove è cresciuto per l’universo caotico e sconfinato della terra ferma di cui non capirà mai le dinamiche. Tornatore gioca con la fotografia e con i movimenti di macchina magistralmente, regalandoci un microcosmo autonomo nel bel mezzo dell’oceano dove, osservando una porzione di realtà portata dagli emigranti viaggio dopo viaggio, riviviamo il mondo della prima metà del novecento.
Strutturando il film con l’alternarsi di due piani temporali le vicende ci vengono raccontate da un narratore interno che, riportando la storia inverosimile vissuta dall’amico attraverso continui flashback, risulta al principio poco credibile, essendo oltretutto l’unico testimone dei fatti, ma aumenta così il mistero e la magia di questa favola moderna. Il protagonista principale è la musica, le melodie ipnotiche create dal pianista che da sole parlano e raccontano emozioni e vite e ci accompagnano dall’inizio alla fine. Non poteva ovviamente mancare l’amore che però non riesce a far scendere a terra Novecento, interpretato da un sempre bravissimo Tim Roth, che vive la sua vita con le limitazioni fisiche che da sempre ha conosciuto e accettato, cioè la nave e la tastiera del suo pianoforte, ma forse riuscendo così a viverla meglio, cercando l’immensità dentro di se, nella sua musica e nei suoi viaggi mentali, scappando quindi l’oceano in cui si perdono gli uomini a terra, rincorrendo mille luoghi, mille volti, su di una tastiera troppo grande. Unico piccolo appunto è forse l’essersi dilungati troppo nell’epilogo ad una storia che doveva finire così come era cominciata, senza troppe spiegazioni. |