|
|
Ispirato a un fatto realmente accaduto, il film narra una vera e propria 'favola di Natale'. Sul fronte della I Guerra Mondiale nella notte di Natale del 1914, i soldati accampati dietro le trincee francesi, scozzesi e tedesche, improvvisamente decidono di deporre le armi e di scambiarsi auguri, sigarette, cioccolata e calorose strette di mano. Questo avvenimento sconvolgerà le vite di quattro personaggi : un pastore scozzese, un tenente francese, un tenore tedesco e una soprano danese... |
|
|
|
Una favola, inventata, non poteva essere più bella.
La realtà di una notte di Natale nel mezzo del più grande (fino ad allora) conflitto della storia supera di gran lunga ogni fantasia, colpendo centinaia di uomini con una forza che le armi non riescono ad avere.
Propaganda razzista, xenofoba, diritto e giustizia divina, fedeli ed infedeli: le aberrazioni che l’intelligenza umana si impone per assecondare la propria natura bestiale si infrangono contro il muro d’una solidarietà tanto più potente quanto più inaspettata.
Un istante cancella ogni trincea, ogni proiettile, ognuna delle milioni di vite spezzate, in piccola parte in quel fazzoletto di terra di nessuno che diventa, improvvisamente, terra di tutti. È bastato un istante, e nessuno sarà più in grado di tornare indietro, di dare nuovamente vita al trionfo della morte, al desolante teatrino che è stato così facile, così bello smontare.
Sullo schermo questa favola straordinaria coinvolge ma, allo stesso tempo, si snatura. L’emozione che dovrebbe crescere spontanea dall’emergere dei fatti, nella loro accecante semplicità, cede il passo ad un’emozione tutta cinematografica, fatta di sguardi, di musica, di canzoni o preghiere che echeggiano nel silenzio. L’importanza del canto di Nikolaus ed Anna è sopraffatta dalla sua stessa bellezza, allo spettatore non viene dato il tempo di commuoversi per il crescendo nel succedersi degli eventi, ma è avvolto da quel sublime canto-colonna sonora e da esso trascinato.
Questa scelta, infelice ma troppo allettante per non essere praticata, sposta inevitabilmente e colpevolmente il centro dell’attenzione dalla storia, in questo caso dalla Storia, al prodotto: il risultato è un atteggiamento passivo dello spettatore, che si commuove ‘a comando’ e nelle pause narrative si riposa, in attesa d’un nuovo turbinio d’emozioni.
Ma Joyeux Noël ha la forza di sopravvivere ai propri stessi mezzucci, radicandosi nella mente degli spettatori; è un film che non muore con i titoli di coda, ma riemerge più volte con quella che è la sua vera forza: la storia di un cantante che ha voluto regalare se stesso ai suoi compagni di sventura, di una donna che non ha potuto fare a meno di lui, di un pastore che non s’è soffermato sulle proprie pecore, di uomini, col corpo offeso da vestiti recanti i loro alti gradi militari, che sono riusciti a rimanere uomini, contro tutto, contro tutti, per loro stessi, per tutti. |
|