"Sono morto una volta e quindi posso vivere. Forse questa è la mia vera storia."
La memoria di un flusso (assestato) di immagini restituisce al ricordo alcuni precisi indizi per sopprimerne altri. E allora semplici fatti raccontati diventano ricordi significativi, racconti, attimi di vita che si raggrumano intorno a nuclei di ricordi per essere testimoniati. Il film procede intorno a questi momenti salvati all’oblio dell’indescrivibile, per restituire volti precisi, destini che progressivamente virano dal colore al bianco e nero, mano a mano che la vita si allontana.
Antologia completa delle atrocità compiute dai nazisti sui prigionieri (con la "violenza" del dettaglio sul protagonista), "Senza destino" è un’indecisione (la sceneggiatura incagliata nella narrazione delle emozioni forti), uno sguardo spezzato (orrore o felicità ) che rappresenta il "dopo" entrato in scena e travolto dagli occhi straordinari di Gyuri, che sostiene di non essere stato all'inferno, semplicemente perchè questo non esiste mentre i campi di concentramento si. La prospettiva di ritrovare la propria libertà e intraprendere la riscoperta della sua natura (umana): "spoglie mortali", la parte finale di un film (e di un vivere) stentato, in un certo senso "ridotto al minimo", ma capace di oscillare tra intensità e gravità , tra labirinti mentali e malattie di ogni tipo, a partire da quella più devastante, un male dell’umanità , rappresentato dalla degenerazione a cui è stato sottoposto il popolo ebraico. Ogni avvenimento è determinato da ciò che lo precede, per questo è importante mostrarlo... Questa era l'intenzione. La base di tutto.
Presentato in concorso a Berlino 2005. |