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Recensione: Cacciatore di teste

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Cacciatore di teste
titolo originale Le couperet
nazione Belgio / Francia / Spagna
anno 2005
regia Constantin Costa-Gavras
genere Drammatico
durata 122 min.
distribuzione Fandango
cast J. Garcia (Bruno Davert) • K. Viard (Marlène Davert) • G. Monfils (Maxime Davert) • C. Theret (Betty Davert) • U. Tukur (Gerard Hutchinson) • O. Gourmet (Raymond Mâchefer)
sceneggiatura C. Costa-GavrasJ. Grumberg
musiche A. Amar
fotografia P. Blossier
montaggio Y. Kergoat
uscita nelle sale 10 Febbraio 2006
media voti redazione
Cacciatore di teste Trama del film
Bruno Davert è un dirigente della cartiera dove lavora da quindici anni. Benché sia un lavoratore serio e coscienzioso, un giorno viene licenziato insieme a un centinaio di colleghi a causa di una ridistribuzione economica. Convinto di essere ancora giovane e di avere competenze soddisfacenti, pensa di poter trovare in breve tempo un altro lavoro simile a quello perduto. Tre anni dopo, essendo ancora disoccupato, Bruno è angosciato perché non trova il modo di continuare a garantire un livello di vita soddisfacente per la sua famiglia.
Recensione “Cacciatore di teste”
a cura di Glauco Almonte  (voto: 7,5)
Nell’oscurità della sua automobile, Bruno Davert pedina un uomo; più d’una volta è a un passo dal premere il grilletto, ma il destino sembra sottrarre la sua ignara vittima alla morte. Almeno fino all’ultimo incrocio, quando la strada del veicolo e quella dell’obiettivo vengono a coincidere in un abbraccio fatale.
L’atmosfera da thriller scompare con i titoli di testa per lasciare il campo ad una commedia godibile, intrisa dell’umorismo nero del destino.
I desideri repressi si fanno realtà: con la meticolosità d’una ricerca scientifica Bruno percorre la sua strada verso il meritato posto di lavoro. È importante sottolineare il merito, unico Dio al quale s’inchina il sistema di cui Bruno è vittima finché non entra nei suoi ingranaggi.
La ricetta è geniale nella sua semplicità: accettare le regole meritocratiche, fare un indagine per ottenere una graduatoria, trovare il modo di superare chi sta più in alto.
La provocazione di Costa-Gavras è servita: il regista greco-francese gioca con i tabù d’una società figlia delle contraddizioni del ‘politically correct’. La forza di questa provocazione è tutta, o quasi, nello stile narrativo: non c’è condanna, non c’è assoluzione perché non c'è giudizio; l’iniziale rimorso si placa mentre l’obiettivo si avvicina, la suspense cresce, e l’attesa è tutta per il coronamento dell’impresa di Bruno. Empatia. Empatia tra lo spettatore ed il protagonista. Niente di nuovo, in teoria, niente di più assurdo nella realtà di un assassino che, ai nostri occhi, finisce per apparire nient'altro che un disoccupato, impegnato a perfezionare la propria richiesta di lavoro. Non è forse così?
Bisogna allora rendere merito a Costa-Gavras, assecondarlo nel suo paradossale ragionamento e cercare di capire dove vuole arrivare. Apparentemente ad un analisi sulla vita umana, sui confini tra questa vita ed il lavoro: lavoro che la rappresenta, che ne è motore e scopo, che la giustifica e la consuma.
Scendendo in profondità, Il cacciatore di teste ci mette di fronte alle nostre certezze: non vuole dirci che sono sbagliate, ma che metterle in discussione, di quando in quando, è un esercizio utile, anzi, necessario. Dal confronto con una realtà così provocatoria escono rafforzate. L’involucro che ne faceva dei preconcetti, delle verità indiscutibili, è spezzato.
Commenti del pubblico







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