Merito dell'incredibile sceneggiatura di Margulies, "The end of the tour" riesce a prescindere dalla conoscenza pregressa del personaggio Foster Wallace e della sua opera letteraria, conquistando un respiro universale nel racconto impetuoso di un incontro di ambizioni, timori e passioni che rivela, strato dopo strato, quel turbine di genio e fragilità che rende speciale ogni essere umano. |
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Perché si è ucciso David Foster Wallace? Non è una domanda ma solo la constatazione di una realtà che segna l'inizio e la fine di End Of The Tour, un film sicuramente necessario per far conoscere un personaggio simbolo della cultura americana di fine secolo; discusso, incompreso e sfuggente ma all'unanimità considerato come un grandissimo rappresentante della letteratura USA. La bellezza del film sta nella capacità di ricreare, oltre a un'epoca, quella dei '90 così vicini e così lontani, la figura di antidivo di Wallace, il suo carattere, il suo pensiero, attraverso uno scambio continuo con l'altro David che diventa per forza di cosa a sua volta protagonista del film. Due esseri umani che si incontrano, comunicano in un America già avviata ad essere quella che oggi conosciamo eppure ancora così lontana dagli stereotipi attuali, una conversazione a tratti leggera e a tratti pesante almeno quanto le 1000 pagine di Infinite Jest. Bellissima la colonna sonora curata da Danny Elfman
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7,5
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Il biopic è il più insidioso dei generi: se garantisce la presenza di un pubblico, rischia facilmente di degenerare nell'agiografia, nel "santino" più convenzionale e superficiale. Il film di Ponsoldt evita questo peccato capitale grazie alla scelta di concentrarsi sullo scontro generazionale e di rinunciare in partenza a offrire un ritratto completo di Wallace: riesce così a mantenere un buon equilibrio, e perfino a commuovere lo spettatore in più punti, invogliandolo ad approfondire la conoscenza dello sfuggente scrittore.
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7,5
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Ci sono film che speri possano non conoscere mai la fine. E invece la fine giunge: del film, 'del tour', e della vita stessa. Una delle scene più vibranti è quella in cui Lipsky, assente Wallace [ironia della sorte: sono due David, vicendevoli], in stato febbrile gira per casa, e registra tutto ciò che vede, a trattenere quanto più possibile appartenesse a quell'uomo fragile, straordinario, sfuggente, sospeso tra l'idea di come si è e di come si appare. 'Infinite Jest' come 'Le grandi bagnanti' di Cezanne (il raffronto compare sottilmente in una sua intervista televisiva del '97): una delle ultime tele del pittore francese, una delle più importanti da un punto di vista meramente dimensionale ma anche artistico. Non resta, ora, che lanciarsi nell'impresa di leggere le mille pagine, "dal peso di un chilo e mezzo", di quel romanzo spartiacque di Wallace. Leggerlo, e lasciare che ci spacchi il cuore.
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7,5
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Guardare un film su DFW sapendo come lui si considerasse anti-star fa un pó sorridere. Non fa ridere assolutamente la qualitá del film, ottima come la sceneggiatura. Io Wallace me lo immagino proprio cosi, nevrotico a tratti, tenero, nerd! Lipsky anche sembra ben interpretato, il tutto fa venire tanat voglia di leggere il suo monumentale Infinite Jest, magari un giorno... Bel film, imperdibile per i fan di DFW.
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