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Mi limito a dire, come gli altri, che sono rimasto piacevolmente stupito dall'esordio di Dolan, girato esattamente alla mia età mentre scrivo queste righe. Un traguardo interessante per un giovane fortunato ma anche fortunatamente talentuoso. Da aspirante regista come lui, non posso che prendere appunti.
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L'esordio folgorante del talento canadese, che scrive/recita/gira a soli vent'anni. Già qui pullulano i bacilli del "dolanismo". Già qui Xavier semina i chicchi delle piante che andranno a forgiare il suo stile: la poesia, attori che torneranno in altre sue opere, le tazze di tè riprese dall'alto, figure sedute sul fondo di un bus, inquadrature alle spalle di un personaggio che cammina, scene trasognate in disco, ralenti con sfondo musicale che per delicatezza visiva rimanda al miglior Wong Kar-wai, lumi, farfalle, la simmetria di chi legge un libro su un sofa. Come se Dolan, strizzando l'occhio, riconoscibile, dicesse allo spettatore Eccomi, Sono qui, Sono sempre io. Film schizoide, a tratteggiare il rapporto di amore-odio che lega un giovane figlio e la propria madre, sempre a creare due piani temporali distinti, con Xavier che si auto-intervista. E spuntano sorrisi, durante la pellicola, per quante autobiografiche siano alcune situazioni. Per lo spessore e l'intelligenza.
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