Interi continenti sono controllati quotidianamente da milioni di intercettazioni telefoniche, in grado di prevenire e curare ogni possibile rischio e allo stesso tempo capaci di creare errori pericolosi e letali. Da anni l’uomo inventa per abusare delle sue invenzioni, costruisce sprecando il risultato. Una di queste è ‘Echelon’ sistema d’intercettazione globale delle telecomunicazioni progettato dall’americana National Security Agency (NSA).
“In ascolto – The listening”, coraggiosa opera prima del talento Giacomo Martelli dipinge un cinema che si ascolta, e tratteggia una storia seria, una sorta di varco al limite della coscienza e della non coscienza, di privato e pubblico, ragion di stato o invasione.
Scivolano le intercettazioni sotto gli occhi spauriti e consapevoli di Giordano Bruno, la sua statua, simbolo di dialogo e scambio, nella piazza romana di Campo dei Fiori, diventa centro di un ascolto innaturale, di una disattenzione terribile. Il compito della famosa e invisibile NSA è quello di controllare, di garantire la stabilità di un paese, questo fino a quando il desiderio di potere non supera la coscienza e ci si scontra con una tecnologia capace di inventare e distruggere allo stesso momento. Il film si muove negli anni di un cambiamento radicale dell’agenzia che muta le sue prospettive trasformandosi in azienda privata rinunciando ad ogni etica: “perché un investimento da 400 milioni di dollari supera ogni vita umana”. Questo è proprio quello che capita a Francesca, Il suo ruolo da protagonista nasce all’improvviso, eroina casuale, spiata, torturata e violata nella sua intimità profonda. Una dolce e innocente ragazza con gli occhi di Maya Sansa, tradita proprio dalla sua semplicità o forse scelta dal caso per essere testimone, vittima ed esempio allo stesso tempo. La cosa che inquieta è che Francesca potrebbe essere chiunque tra di noi, quello che è accaduto a lei ci appartiene. Impariamo che un cellulare è una perfetta microspia anche se spento e che addirittura per renderlo innocuo dovremmo togliere la batteria e la scheda SIM.
La storia si muove tra satelliti e flussi d’immagini che essi catturano, tra piccole particelle rosse che si muovono ad una velocità impensabile arrivando ovunque, dentro ogni cellulare, dentro ogni parete, trasparenti “per ragion di stato”, la stessa che dovrebbe garantire libertà e protezione e invece si trasforma in una macchina letale e imperfetta, un mostro attivo che ingurgita tutto e paradosso feroce 'non ascolta'.
Resta per tutto il film una malinconia sotteranea che anzi a tratti aumenta sino a diventare vero e proprio stile cinematografico. Un unico appunto nel finale dove la storia affidata più ai personaggi, ormai stanchi, che a vere sequenze, si perde leggermente nel già visto; il nobile tentativo di un singolo uomo di cambiare il mondo diventa uno stereotipo scontato, una sorta di costretto etico finale per nobilitare il genere umano, spesso demonizzato dalle sue stesse invenzioni.
Da vedere e ascoltare. |