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Recensione: Il tempo dei cavalli ubriachi

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Il tempo dei cavalli ubriachi
titolo originale Zamani barayé masti asbha
nazione Iran / Francia
anno 2000
regia Bahman Ghobadi
genere Drammatico
durata 80 min.
distribuzione Lucky Red Distribuzione
cast N. Ekhtiar-diniA. Ektiar-dini (Ameneh) • A. Ahmadi (Ayoub)
sceneggiatura B. Ghobadi
musiche H. Alizadeh
fotografia S. Nikzat
montaggio S. Tavazoee
media voti redazione
Il tempo dei cavalli ubriachi Trama del film
Dopo la morte del padre, dei fratellini già senza madre, sono costretti a tirare avanti con le proprie forze in un villaggio curdo ai confini fra Iran e Iraq, ma le difficoltà aumentano quando al nuovo capofamiglia, anche lui ragazzino, viene detto che il fratello Madi, affetto da nanismo, ha bisogno di un'operazione per continuare a vivere. Pur di salvarlo, la sorella maggiore accetta di sposare un giovanotto iracheno che gli può garantire le cure adeguate. Però, durante il viaggio verso l'Iraq, la famiglia del futuro sposo decide di abbandonare il ragazzo malato. Ma tutti i fratelli, invece, continueranno a portarlo in braccio e ad accudirlo con tenerezza.
Recensione “Il tempo dei cavalli ubriachi”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
La durissima vita di tre fratelli in un villaggio al confine tra Kurdistan iraniano e Iraq.
Un ragazzo di quindici anni deve provvedere ai suoi quattro fratelli e sorelle. Uno di loro soffre di una malformazione ossea, ha bisogno di essere operato. C'è la guerra. I bambini fanno i contrabbandieri, portano su e giù per le montagne pesanti carichi. Tutti gli adulti si battono contro la natura e contro gli uomini.
Un film coperto di premi a Cannes: Caméra d'or come miglior opera prima (ex aequo con un altro film iraniano) e premio Fipresci della critica internazionale.
Il regista debuttante Bahman Ghobadi, assistente di Kiarostami e attore nell'ultimo film di Samira Makhmalbaf, "Lavagne", ci riporta negli stessi luoghi di quest'ultima; la frontiera curda tra Iran e Iraq dove si combatte una guerra tanto più terrificante, perché quasi invisibile. Anche qui ci sono ragazzini contrabbandieri, versione odierna dei piccoli dannati della terra cinematografici da "Germania anno zero" di Rossellini a "I figli della violenza" di Bunuel , condannati a essere adulti prima del tempo.
L'autenticità di quello che vediamo è giocata su un fragile, ma miracoloso equilibrio tra documentario e storia immaginaria.
E' un film che riesce a commuovere senza mai martirizzare i personaggi, senza mai rinunciare al pudore e alla dignità.
La pellicola ha soprattutto il merito di mettere a nudo i limiti e i bigottismi di una società tribale (quella della zona curda liberata del nord Iraq) ancora aggrappata a vecchie tradizioni contro le quali i giovani stanno cominciando a lottare, ma è anche un manifesto a favore del dialogo e della pace contro la "cultura della pistola" come la definisce lo stesso regista.
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