Questi uomini di oggi non vogliono proprio crescere, ma come dargli torto? Non è molto più comodo continuare a vivere sotto lo stesso tetto dei genitori, soprattutto se si ha una madre che ogni mattina ci lascia i vestiti stirati in camera e ci prepara una stupenda colazione all’inglese? Così almeno la pensano i giovani americani (e questa è una novità per chi pensava che i mammoni fossero prerogativa italiana), soprattutto Tripp, trentacinquenne ben contento di barattare la vita di coppia, che fugge come la peste, con questi vantaggi.
Basta questo pretestuoso spunto sociologico per dar corpo a un film di un'ora e mezza? Non evidentemente a Tom Dey, regista giovane ma già con un pedigree di rispetto (ha già girato un film Disney, “Pallottole cinesi”, nel 1998, e ha diretto Robert De Niro e Eddy Murphy in “Showtime”): per cui la pellicola vira dopo un quarto d’ora verso l’ennesima storia d’amore che inizia coi due che non si filano proprio e finisce coi fiori d’arancio dietro l’angolo, tra momenti comici spesso prevedibili (botte in testa, vasi rotti, e altro) e troppo raramente divertenti (il papà Al che, uscito finalmente il figlio di casa, può realizzare il suo sogno di una “stanza nuda” dove passare il tempo senza vestiti; Tripp morso nell’ordine da uno scoiattolo, un delfino e un lucertolone perché, come l’amico Demo gli fa notare, la natura si ribella a chi viola le sue leggi: ma che c’entra?). Tripp e Paula si corteggiano, si amano, si lasciano ma solo per ritrovarsi nell’arco di 24 ore ancora più innamorati.
Data tale inconsistenza di sceneggiatura, ci si aspetterebbe una migliore caratterizzazione dei protagonisti, e invece i personaggi sono più stereotipati che in un film dei Vanzina: non mancano né il bello e tenebroso né la alternativa strampalata, con una dicotomia così accentuata da sfiorare il razzismo. Ma ciò che più spiace è la superficialità dell’intera rappresentazione: non si vedono altro che fisici perfetti, vita iperattiva tra ginnastica, free climbing, surf, barche a vela, champagne e costosi ristoranti giapponesi. Il lavoro non esiste o è quanto mai improbabile (quanti sanno dell’esistenza dei broker di barche?), tutto è leccato, pettinato fino all’inverosimile, a coprire e dunque far ancora più risaltare il vuoto compresso di una società e un modo di vivere.
McConaughey sembra perfettamente a suo agio nel ruolo di belloccio totalmente indifferente, la Parker invece è più espressiva nonostante gli strati di cerone, e certamente meglio di una Jennifer Lopez qualsiasi (si veda per capirsi il film quasi-fotocopia di questo, “Un amore a cinque stelle”). Si salvano anche Kathy Bates e Terry Bradshaw (Al, il padre pimpante di Tripp), abbastanza convincenti nel ruolo di genitori un po’ sopra le righe e giustamente preoccupati della salute sentimentale del figlio. Ma non abbastanza del suo sviluppo mentale, evidentemente. |