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Walter Goodfellow, vicario della comunità rurale di Little Wallop, è cosi impegnato nella scrittura del sermone perfetto da non rendersi conto di ciò che sta accadendo nella sua famiglia: la moglie Gloria, stanca di essere ignorata dal marito e bisognosa di affetto, accetta la corte di Lance, l'istruttore americano di golf, la figlia Holly cambia fidanzato ogni settimana e il figlio Petey è diventato il principale bersaglio dei bulletti della scuola. A rimettere a posto le cose in casa Goodfellow arriva Grace Hawkings, un'anziana governante che ha dei metodi particolari per risolvere tutti i problemi... |
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Quando girare un film di genere diventa pressoché la sola motivazione delle fatiche di un regista il rischio per nulla remoto è che il risultato sia un’opera a due dimensioni, totalmente appiattita sulla (non) caratterizzazione dei personaggi (marionette caricate a molla su battute pronte all’uso del caso) e avente per trama la storietta ascoltata centinaia di volte. Questo è il caso di La famiglia omicidi di Niall Johnson, una commedia nera come ce ne sono state e come continueranno ad essercene periodicamente per sfruttare prolungate lontananze dalle sale di tale genere. Per la verità una bella commedia nera, nel senso qualificativo del termine, è uscita qualche tempo fa ed è Il cacciatore di teste di Costa-Gavras; per questo La famiglia omicidi è secondo anche nel tentare di riportare sugli allori il modello. Data la scarsa ispirazione, il riscatto parziale del film dovrebbe venire dalle risate, ma anche quelle latitano generalmente nella sala e particolarmente in chi scrive. Forse anche per un doppiaggio poco brillante nessun personaggio riesce ad imporsi all’attenzione del pubblico, nemmeno Rowan Atkinson (alias reverendo Walter Goodfellow), che quando sveste i panni di Mr. Bean perde molto dell’appeal comico, e nemmeno Kristin Scott Thomas, che insieme con Atkinson è stata ripescata da Quattro matrimoni e un funerale per cercare di rendere ancora più british una commedia che già di suo lo è in modo scopertamente ruffiano. Grace/Rosie, la governante che fa giustizia di chi mette in crisi i sacri vincoli familiari, fin dall’inizio deve a tutti i costi, nelle intenzioni degli autori, risultare una simpatica e strampalata vecchina come quelle che, a detta di pagine e pagine di cinema e di letteratura, infestano le campagne inglesi. Non ci riesce per niente, ma la delusione viene soprattutto dall’assoluto lassismo nel tentare ritrovare un briciolo di originalità in questo quadro noioso. Swayze, il maestro di golf americano abbronzato e munito di mutande rosse da stripman, è più divertente, ma non ha grande spazio. Mentre lo ha, purtroppo, il trionfo del reverendo alla conferenza, che segna una assoluta discontinuità dal resto dell’opera col suo tono da happy end very Usa; insieme all’abbraccio con la ritrovata madre (la mamma è sempre la mamma anche se è una pluriomicida, e che diamine!) è il momento meno felice del film. E per questo sono inutili riprese e fotografie originali/poetiche (la casa sul limitare del mare increspato, la bellissima natura dell’Inghilterra del nord) se come in questo caso non sono compagne naturali di una vera ispirazione. |