Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Recensione: Baran

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Baran
titolo originale Baran
nazione Iraq
anno 2001
regia Majid Majidi
genere Drammatico
durata 94 min.
distribuzione Buena Vista International
cast H. Abedini (Lateef) • Z. Bahrami (Rahmat)
sceneggiatura M. Majidi
musiche A. Pezhman
fotografia M. Davudi
montaggio H. Hassandust
media voti redazione
Baran Trama del film
Lateef è un adolescente iraniano pigro ma dal cuore d'oro che lavora come custode in un cantiere edile. Fra i suoi compiti c'è anche quello di rifornire di tè e cibo gli operai afgani che vi lavorano illegalmente per pochi soldi. Un giorno il capocantiere Menar stabilisce che Lateef dovrà lavorare come operaio e che il suo posto dovrà essere preso da un giovane afgano, Rahmat, arrivato a sostituire il padre gravemente ferito in un incidente sul lavoro. All'inizio Lateef fatica ad accettare la sua nuova condizione e tenta di sabotare in ogni modo Rahmat. Ma il suo atteggiamento cambia radicalmente quando scopre che sotto le sembianze di Rahmat si cela una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri. Colpito dalla sua bellezza e dal suo coraggio, Lateef decide di proteggerla ad ogni costo.
Recensione “Baran”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 6)
Colpo d’ala del cinema iraniano questo "Baran", che dimostra una regia accortissima sia quando si tratta di girare in un palazzo in costruzione, sezionando e moltiplicando gli spazi così da far sembrare il palazzo un labirinto, sia quando è la volta di tratteggiare un amore platonico tra due adolescenti destinato alla fine a risolversi in un nulla di fatto, con la giovane fanciulla che in partenza per l’Afghanistan si cala il burka sul volto così da conferire alla distanza mantenuta per tutto il film dal giovane e desideroso Lateef un connotato di eternità indissolubile. Al giovane non rimarrà altro da fare che fissare l’impronta del piede della giovane impressa in uno spietato acquazzone.
Tra calce e cemento, Majid Majidi sa anche delineare non solo un percorso visivo con al centro la commedia umana di un cuore infranto, ma sa anche edificare un quadro di solidarietà tra iraniani e afgani di ammirevole compassione e precisione. Il cinema iraniano ci ha abituato, e anche "Baran" non si dimentica di ricordarlo, che una società profondamente iconoclasta com'è quella iraniana, coltiva al tempo stesso uno stupore dello sguardo senza eguali.
Ecco allora il centro visivo del film ruotare attorno al giovane Lateef, continuamente teso ad esplorare lo spazio che lo circonda, a tagliare in lungo e largo l’intero palazzo in costruzione nei suoi più reconditi spazi, processo alla fine del quale è posto quel punto di massima conoscenza concettuale/sentimentale capace di andare oltre la semplice apparenza.
Miglior film al Festival di Toronto (2001).
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