Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Recensione: Mal

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Mal
titolo originale Mal
nazione Portogallo
anno 1999
regia Alberto Seixas Santos
genere Drammatico
durata 87 min.
distribuzione Rosa Filmes
cast D. Baker (Sean) • P. Cadell (Cathy) • Z. Duarte (Assuncao) • L. Gama (Emilia) • R. Morrison (Padre Coelho) • A. Pinto (Daniel) • M. Santos (Marta)
sceneggiatura A. Seixas Santos
musiche N. CarvalhoV. PimentelV. Puertas
fotografia A. De Almeida
montaggio C. Ruivo
media voti redazione
Mal Trama del film
In città si intrecciano contemporaneamente migliaia di storie. Come quella di Cathy e Pedro che sono separati da tutto tranne che da un amore intenso. Come Daniel, piccolo delinquente e il suo amico di colore sempre alla ricerca di un po' di pace sotto le stelle. Come una coppia di gioiellieri che convivono per necessità lacerati da un astio crudele. Come il nonno che arriva a Lisbona in cerca della nipote scappata di casa. Come una bambina, creatura abbandonata da dio che è arrivata ad annunciare la fine del mondo.
Recensione “Mal”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
Esiste un male fisico e una decadenza spirituale.
Il regista traspone il primo nell'angoscia del corpo che vede manifestarsi al suo interno i primi sintomi della malattia, reagendo ad essa con stupore, costernazione e insieme rassegnazione.
L'Aids s'insinua nell'esistenza borghese di Chaty, sconvolgendone l'equilibrio sentimentale, i progetti di vita futura, la fiducia stessa che da sempre ha riposto nel suo compagno, responsabile del contagio.
Alla sofferenza fisica il regista accenna e allude, lasciando pudicamente in sospeso gli inevitabili sviluppi e le conseguenze posteriori; ma per scorgere la vera essenza del male ci avverte che bisogna scendere in più remote profondità, dentro all'anima stessa dei personaggi che si sfiorano, incrociano i propri destini e le proprie disperazioni, si cercano e si perdono lungo il cammino.
La decadenza spirituale è presente invece a tutti i livelli e non risparmia nessuno: ragazzini sbandati e drogati il cui unico momento di sollievo consiste nel fissare per un attimo la volta stellata; un vecchio che invano chiede a tutti i passanti notizie sulla nipotina scomparsa, ma a cui nessuno "risponde" o non vuole prestare attenzione; un gioielliere che decide di porre fine ad un'esistenza frustrante e ad un matrimonio arido e consumato; infine, una bambina che si aggira, come un pallido spettro della coscienza sociale , per le strade sporche e polverose della metropoli incappando nello squallore di questa insana umanità.
La visione di Santos è insieme distante e partecipe testimone della tragedia. Ci fa intravedere la caduta a cui ognuno dei personaggi, giovani e anziani, ricchi e poveri, indistintamente va incontro, ma lascia anche presagire, nel silenzio che segue l'invocazione di aiuto, che esiste una possibilità di riscatto, un'unica, labile, via di fuga dal senso di oppressione e di morte che pervade ed impregna l'intera atmosfera.
Questa via è dentro di noi e per percorrerla basta tendere la mano e cercare di colmare nell'altro quello che è il nostro stesso bisogno d'amore, di pietà e di comprensione; bisogno che spesso ci vergogniamo di esprimere, per paura di divenire troppo vulnerabili e indifesi.
Da uno scenario livido ed apocalittico come quello descritto dal cineasta portoghese, è questo l'unico messaggio che si può trarre per non cadere nella facile e troppo semplicistica valutazione che il male, di qualsiasi natura esso sia, è sempre irreversibile e totale.
In concorso a Venezia (1999).
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