Hong Kong 1966.
In una piccola stanza d’albergo, Chow Mo Wan, scrittore in crisi di ispirazione, tenta di finire un romanzo di fantascienza ambientato nel 2046. Attraverso la scrittura, Chow si ricorda delle donne che hanno attraversato la sua esistenza solitaria. Appassionate, cerebrali o romantiche, ognuna di loro ha lasciato una traccia indelebile nella memoria, e quella traccia nutre la sua immaginazione.
Una di loro ritorna costantemente nei suoi ricordi: Su Li Zhien, la sola fra tutte che lui abbia veramente amato. Su Li Zhien abitava in una stanza vicina alla sua, la 2046.
Wong Kar-wai ci regala una nuova forma di sublimazione del sentimento, un viaggio metaforico, introspettivo, la ricerca di un non-luogo.
2046 è l’anonima stanza dell’Oriental Hotel che alimenta le memorie e scatena la fantasia dello scrittore. Chow evoca un guardare a se stesso attraverso le immagini dei propri ricordi. Sono loro che nutrono e divorano la sua immaginazione, che lo assalgono e lo risucchiano nelle spirali vorticose di un inconscio che gli fa perdere i confini con la realtà.
Ma 2046 può essere anche la fantascientifica destinazione di un misterioso treno metropolitano, che di tanto in tanto parte, ma da cui nessuno ha mai fatto ritorno. Su questo “veliero fantasma” del futuro, che erra senza trovare la sua meta, l’unico passeggero è Tak, una sorta di alter-ego di Chow. È il solo che abbia scelto di tornare indietro.
Un'esperienza sensoriale, una specie di interminabile pellegrinaggio attraverso un buco scintillante in cui i colori e le forme si fondono e i tempi della narrazione si confondono in un’estetica del frammento, che diviene frammentarietà della visione di una non definita memoria.
Ne nasce una sorta di canale spazio temporale che da un non-luogo dà vita ad un non-tempo.
Talvolta la narrazione sembra come arrestarsi, rimanendo sospesa in un non-tempo che permette al regista di consegnare al suo pubblico l’eterna valenza morale di queste immagini generate nel presente, da ricordi del passato, che inevitabilmente condizioneranno il futuro. Quasi a voler ricordare innanzitutto che la nostra identità, individuale e collettiva, è generata in un non-luogo, da un non-tempo che si chiama memoria: è come una fiamma che non può spegnersi, che trova il suo combustibile in un amore struggente che brucia i suoi protagonisti e si alimenta dei loro ricordi.
In questo sfiorarsi di corpi sta tutta la bellezza di "2046"; un luogo dove nulla cambia mai, dove si ritrova la nostalgia delle cose non dette, il rimpianto di ciò che poteva essere e che non è stato, le immagini di chi se n'è andato, tutto ciò che sembrava perduto.
Presentato in concorso al 57mo Festival di Cannes (2004). |
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