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Recensione: I re e la regina

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I re e la regina
titolo originale Rois et Reine
nazione Francia
anno 2004
regia Arnaud Desplechin
genere Drammatico
durata 150 min.
distribuzione Fandango
cast E. Devos (Nora) • M. Amalric (Ismael) • C. Deneuve (Madame Vasset) • V. Lelong (Elias) • J. Roussillon (Abel Vuillard) • M. Garrel (Louis Jenssens)
sceneggiatura A. DesplechinR. Bohbot
musiche G. Hetzel
fotografia E. Gautier
montaggio L. Briaud
uscita nelle sale 19 Maggio 2006
media voti redazione
I re e la regina Trama del film
Due storie parallele: da una parte l’obiettivo centrato di Nora Cotterelle, giovane e abbandonata a se stessa, di sposare un uomo che le vada bene. Dall’altra, la storia del declino di Ismaël Vuillard, uno dei precedenti mariti di Nora, mandato per errore in un ospedale psichiatrico. Le loro vicende si intrecciano quando Nora va a trovare Ismaël per chiedergli di adottare suo figlio Elia. Poi si dividono ancora. Noi seguiamo Nora mentre è costretta ad assistere il padre nella sua agonia. Ricordi da tempo sotterrati vengono di nuovo a galla...
Recensione “I re e la regina”
a cura di Francesco Alfani  (voto: 5,5)
Non è convincente il film di Arnaud Desplechin. Troppo cerebrale per generare un coinvolgimento emotivo. Troppo oscuro nel messaggio che (non) comunica allo spettatore; certo non si può dire che il film racconti del rapporto di Nora con gli uomini, come forse il titolo vorrebbe suggerire. Semmai anzi il racconto è quanto mai frammentario e policentrico: non c’è un protagonista ma almeno due, Nora e Ismael, le cui vite il regista segue in parallelo. E, a dirla tutta, nemmeno loro acquistano uno spessore di rilievo. Non certo Nora, sinceramente antipatica e persino piatta nella sua immagine di sposa-madre-figlia; Deslpechin non riesce per nulla a far emergere il suo profilo nero (ossia, l’aver provocato la morte di due dei quattro uomini che hanno segnato la sua vita), e la lascia una figurina piangente e debole. Meglio senza dubbio Ismael, più credibile come intellettuale tormentato, psicanalizzato e un po’ pazzo. Non casualmente, i momenti migliori della pellicola sono quelli con lui protagonista; prima fra tutte la sequenza finale, il dialogo cioè con Elias attraverso stanze e corridoi del museo, ben costruita nelle immagini e anche coinvolgente, tant’è che si rischia di dimenticare i difetti delle prime due ore e uscire dalla sala più soddisfatti del dovuto. Ma in generale, si diceva, sfugge il senso complessivo dell’opera. Il regista sembra voler qua e là affrontare grandi temi (il rapporto uomo-donna, quello tra il padre e la figlia, la psicoanalisi freudiana) ma non sa farne nascere un’idea a sé stante; anzi spesso negli attori e nel racconto sembra che voglia far prevalere una allarmante indifferenza. Se l’essere registi francesi garantisce un sicuro credito in termini di buona disposizione della critica, spendibile sul mercato delle pellicole d’autore, non autorizza però a sfruttare tale credito per concedersi vezzi che risultano non raramente infelici. Valga su tutto l’uso quasi incomprensibile delle musiche, inserite in alcuni casi secondo un criterio di straniamento (quindi, per dire, brano allegro e leggero in un momento drammatico), che, intanto, è vecchio, e poi, esteticamente parlando, non è assolutamente riuscito; in altri casi per troppi pochi fotogrammi, per cui esse non accompagnano l’actio ma al contrario vulnerano la sua fluidità. A questo possiamo aggiungere scene che lasciano perplessi: Ismael che balla la break dance nell’ospedale psichiatrico, il dialogo, in sogno, di Nora col compagno morto Pierre, la sparatoria surreale nel negozio dei genitori di Ismael, al limite del nonsense. Forse quello che spiace è proprio la presenza di una vena surreale in un racconto che vuole fondamentalmente essere realistico. Ciò comporta che gli spunti creativi/artistici come quelli descritti rimangano avulsi dal resto della storia, quasi appiccicatigli sopra, come i nei che i libertini nella Francia del ‘700 si mettevano sulle guance per far sembrare interessanti i loro volti altrimenti banali.
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