Meticoloso, gentile, inglese: tre aggettivi che si adattano contemporaneamente allo stile della regia di Mike Leigh e alle caratteristiche psicologiche della sua nuova protagonista, Vera Drake, piccola inglese di mezza età con una dedizione infinita nell’accudire famiglia e vicini di casa, parenti e ragazze nei guai.
Nel 1950, a Londra, una quieta casalinga, nel poco tempo libero che le resta dal lavoro di domestica e dalle incombenze familiari, pratica aborti senza chiedere denaro; un giorno, una ragazza finisce in ospedale per un’infezione, e Vera viene identificata e arrestata.
Tutto passa come una storia qualunque, senza colpi di scena, speciale proprio perché comune.
La grande abilità dell’autore inglese sta proprio nella capacità di scavare tra le pieghe più “normali” della società, diseredati ma non troppo, proletari e piccolo borghesi dalle spalle incurvate, postini, fotografi, casalinghe, tassisti, cassiere, tutta quella gente il cui volto viene spesso dimenticato anche passandoci accanto ogni giorno.
I protagonisti sono bruttini ma teneri fino alla bellezza.
Qui, la grigiastra Inghilterra del dopoguerra tutta tazze di tè e preziosi pacchetti di zucchero eccedenti il razionamento, si accende della faticosa luminosità della solidarietà; di un buonumore strappato alla pioggia e ai disagi; del buon senso che pretende dal destino incontri felici (la figlia di Vera e il vicino).
Leigh inquadra gesti, interni, volti con l’affetto di un osservatore asciutto ma non estraneo, sfugge la retorica, a volte anche a scapito della godibilità del film, registra esitazioni ed espressioni, offrendoci un preciso giudizio morale, nel quale un’intonazione della voce, uno sguardo, un’affettazione denotano baratri di classe e di genere, nel quale la violenza e il potere regolano il mondo sotto la sua superficie morale.
Mai platealmente “politico”, mai paternalistico, il film ha una qualità in via d’estinzione: la pietà.
Vincitore del Leone d’oro e della Coppa Volpi per Imelda Staunton al Festival di Venezia (2004). |