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Al centro di Brooklyn c’è la pizzeria italiana gestita da Sal e dai figli, aiutati dal giovane Mookie. I clienti sono esclusivamente i neri del quartiere, e Buggin Out contesta l’assenza di ‘fratelli’ nelle foto sulla parete, al punto di ideare il boicottaggio del locale. Nessuno sembra dargli retta, finche non trova un valido alleato in ‘Radio’ Raheem: all’ora di chiusura, i due ragazzi si trovano a fronteggiare Sal, separati solo dal bancone... |
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Brooklyn, nella giornata più calda dell’estate ognuno sembra comportarsi come sempre: nel quartiere nero di New York i poliziotti bianchi, la pizzeria dell’italoamericano Sal, un negozio coreano e qualche portoricano completano il quadro della realtà quotidiana.
Nei gesti e nei dialoghi d’ogni giorno corrono paralleli convivenza e razzismo, ogni sciocchezza genera forti tensioni ma niente va al di là della norma.
Dagli italiani divisi tra l’insofferenza e l’orgoglio dell’avvenuta integrazione, ai piccoli gruppi di ‘indivisibili’, che percorrono il quartiere dalla mattina alla sera, con una punta d’eccesso nel ‘sindaco’-ubriacone (peraltro l’unico ad agire con un minimo di saggezza nella degenerazione finale), i personaggi sono ben disegnati – o forse ben ricalcati su quella che è la realtà.
Le cause dell’esplosione di violenza sono troppe per aspettarsi un esito diverso, ed è emblematico che a dare il via al saccheggio sia il più tranquillo Mookie, che nel momento di maggior tensione ‘fa la cosa giusta’.
Nella doppia veste di attore e regista, Spike Lee si riserva il ruolo attorno al quale ruota ogni rapporto, il punto d’incontro (e improvvisamente di scontro) tra italo e afroamericani; l’inizio, con i titoli di testa, è strano, incomprensibile a meno che non voglia essere una prima pennellata di colore su una tela ancora da dipingere, mentre è interessante l’alternanza, nelle scene dei dialoghi per strada, della prospettiva estremamente schiacciata dal basso e dall’alto a seconda dei piani degli interlocutori.
Unica nota negativa, nella versione italiana, è il doppiaggio, con scelte a dir poco scandalose, prima fra tutte la mancata traduzione delle scene caotiche, fatte sì di urla e rumori, ma anche di insulti e minacce che non si colgono nelle voci originali.
Il giudizio sociale è esplicito e durissimo: ognuno è il proprio monologo, in una comunità di ‘esseri monologanti’ che si incontrano fingendo di interagire, finché, una notte, non interagiscono per davvero, in tutta la loro libertà. Una libertà che, senza più freni inibitori, si rivela nient’altro che violenza; una violenza, dunque, condizione primaria dell’uomo, in una voragine di pessimismo che ci sforziamo di credere diverso dalla realtà.
Dedicato a Martin Luther King e a Malcom X (tre anni prima di girare proprio Malcom X con Denzel Washington, il suo attore preferito, quattro volte protagonista da Mo’ better blues a Inside Man). |