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Basato sull'omonimo romanzo di Christopher Buckley, il film racconta le gesta di Nick Naylor che di lavoro crea intrighi per tenere vivo il mercato del tabacco, ma allo stesso tempo si sforza di essere un modello di comportamento per il figlio dodicenne. I suoi migliori amici sono Polly, che di mestiere vende alcolici, e Bobby che invece piazza armi. I tre pranzano insieme ogni settimana sbeffeggiando i liberal borghesi e bacchettoni che tanto tempo sprecano per cercare di liberare il mondo dai vizi. |
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Nell’America degli ultimi 15 anni, e più recentemente anche in Europa, il tema del fumo ha spesso occupato i primi posti del circo dell’informazione, generando cause miliardarie, lotte giuste ma anche climi da processo alimentati da un’opinione pubblica facile a scagliarsi con cieca cattiveria contro il bersaglio offertole (come ironicamente mostrato nella sequenza iniziale del film). Chiaro che affrontarlo significa, per un regista, camminare su un sentiero molto scosceso, dove è facile commettere passi falsi, e per affrontare il quale si richiedono pertanto soluzioni non banali.
Nel caso di “Thank you for smoking” il regista, l’esordiente Jason Reitman (che ha adattato il romanzo omonimo di Christopher Buckley) gioca sul confronto fra due stereotipi classici: l’America moralista, vittima del complesso della salute sempre e ad ogni costo, e quella cinica e libertaria, santificatrice del profitto. Ma sceglie volutamente di non muoversi sul piano dei principi: gira in soggettiva, racconta la storia di un uomo, il protagonista, lasciando che il pubblico si identifichi con lui e ne condivida la sorte fino in fondo, appassionandosi alle sue disavventure al di là di ogni convinzione ideologica. E certo non si può non provare empatia per un simpatico e fascinoso venditore di fumo, con la sua sospettosa ex moglie, il suo figlio da educare, le sue disavventure amorose; anche lui, come tutti, con “il suo mutuo da pagare”. Nell’irresistibile leggerezza del racconto sono travolti tutti i totem del progressismo politicamente corretto: il senatore del Vermont, alfiere della campagna contro il fumo, in calzini bianchi e sandali (e con una forma gigante di formaggio appesa nello studio!) fa la figura del fesso, la giornalista d’assalto si rivela più calcolatrice dei responsabili del marketing del tabacco, e il figlio di Nick è ben felice di seguire le orme del padre già dai banchi di scuola. Su tutti splende la stella di Nick Naylor (Aaron Eckhart, ad un’ottima prova) quasi eroico difensore dei valori delle libertà individuali: inesausto lottatore, e conscio dell’enorme talento di cui dispone, il saper parlare, lo serve fin quasi all’abnegazione, al punto di rischiare più volte la vita pur di tenere fede al suo personalissimo codice deontologico, che è difendere coloro che nessuno vorrebbe o oserebbe difendere (la multinazionale bersagliata dai consumatori, gli sfruttatori di lavoro nero, i cacciatori di cuccioli di foca, affiancati in una bellissima e divertentissima carrellata in crescendo). Interpreti generalmente nella parte, regia intelligente e con qualche idea originale, bellissimi titoli di testa che utilizzano i marchi di sigarette più famosi, anche se curiosamente di sigarette non se ne accende una sola in tutto il film, e la sola volta che Nick prova a fumare (mentre guarda un western) trova il pacchetto vuoto: obblighi di produzione o scelta dell’autore? |
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Film per niente banale con sprazzi di genialità, come il bilancio dei morti in una riunione dei "mdm"; Un film realista senza moralismi. Forse una piccola pecca il finale un po' frettoloso.
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Le parole hanno ancora un significato o lo assumono solo in funzione di come sono vendute e quindi percepite dal pubblico e dalla società? Il primo film del promettente Jason Reitman è una commedia provocatoria e politicamente scorretta sull’arte della persuasione e del convincimento. Il protagonista è Aaron Eckhart, perfetto nella parte del lobbista incaricato di difendere l’industria del fumo, convinto difensore della libertà individuale contro il moralismo dell’America per bene, un avvocato del diavolo con una morale molto flessibile. Il risultato è dinamico (dialoghi incalzanti, performance divertenti) e sarcastico, ma il finale accomodante rivela l’incertezza del regista su come chiudere il cerchio, e lascia una sensazione d’incompiutezza. La moralità della ''più grande democrazia del mondo'' viene messa in discussione e ne esce con le ossa rotte.
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